Le mie prime rughe
ti sono figlie, madre mia,
formate dalla tua rabbia
nel solco terso dei dubbi,
appena nate e già così
critiche sul mio viso:
rughe austere, scettiche
antenne, a caccia di segni,
del nodo del vero cui non può
sottrarsi
il pettine delle promesse, dei discorsi.
Frugano parole e sguardi,
incontentabili, concentrano i sensi
sul tono, sul vuoto,
sullo spessore degli occhi:
implacabili rabdomanti
attraverso anime e gesti.
Ti rassomigliano i miei difetti,
le mie diffidenze,
nella ricerca di verità ti trovo
prevedibile; ma non per questo
meno amabile, madre della mia sete.
Fiera ti porto per la strada
a cavallo del naso
nell’abbraccio delle sopracciglia:
ancora allevi il mio sguardo,
magie della genetica.
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