Ti cercavo, ieri sera, e ti eri nascosta;
forse eri tu, dentro al mio stomaco avido,
caparbia ribollivi senza tregua
quasi fossi come il tuo russare – com’era morbido,
com’era neutrale,
incrocio di strade
taciturno sospeso e senza pace
fino al porto dei miei abbracci.
Ti cercavo e mi affamavi
io ingrassavo
non sapevo
più
come vomitarti fuori:
eri scivolata nel mio ventre,
ero una bambina che io stessa avrei dovuto partorire
al posto tuo;
le voglie che mi mettevi si sono attorcigliate
ai miei fianchi
come una cintura
te li ho dati in prestito:
e sei e non sei
e sei stata e non sarai
e dovrò esserti madre e figlia e sorella, come sono sempre stata.
Mi hai nutrita a pane e Almodovar,
di che puoi lamentarti, adesso.
Mi hai allattata per allattare, donna come ogni donna
ed eccomi qui
con questi due piccoli seni gonfi e bianchi
pronti a nutrire il prossimo – due,
che uno solo
non potrebbe bastare
a questo mondo,
sterminata distesa di bocche da colmare
del mio cuore gravido – di amore
talvolta il latte si fa acido
eppure sa placarsi il vento
e questo sorriso torna dolce e si lascia bere leggero.
Mi hai allattata per allattare e pure
per lasciarmi allattare,
sono pur due queste labbra
schiuse per nutrirmi – due,
che una non poteva bastare
per poi richiudersi a contenere i voli dell’anima.
Donna come ogni donna,
m’hai fatta di carne
e di latte
e mi hai lasciata qui,
diritta,
a bere camomille col rossetto
sul fischio del bollitore.
Rifaccio la coda e si ricomincia.
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