Leggerai di me
nel soffio di gatto randagio
capace di addomesticarsi
e volutamente riottoso
al giogo degli stand up meeting
in casa del padrone del tempo.
Scritta su un libro
può darsi tu possa trovarmi
un giorno – non saprà vendersi
la mia parola di occhiate oblique,
priva di tormentati gemiti
insensibile alla posa drammatica,
parola di gricia e di risa sguaiate
ostile ai languori,
dai languorini appagati.
Sarà parola per incartar tulipani,
per riempire buchi nel muro,
pagina perfetta per quel tavolo traballante
nell’ufficio dei cantastorie per caso.
Leggerai di me
ridendo tra i baffi
sui miei versi macchiati di cenere
dal caldarrostaio: eppure
il male che t’han fatto i miei chiodi, pixel dopo pixel, non l’avrai scordato ancora; nessuna strada verso la spazzatura risparmierà una visita al tuo stomaco stretto di ignaro passante,
colmo d’ignavia al colmo della felicità.
La parola è eterna, come il tormento del mio perdono.
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