Certe volte ho bisogno di scrivere.
Devo interrompere qualsiasi cosa stia facendo e dare forma a quello che penso, a quello che sento o a quello che intuisco.
Ci sono cose che so scrivere ma non saprei pronunciare o spiegare.
Le parole vengono fuori da sole, e attraversano la rete per raggiungere altre persone.
Alcuni si emozionano.
Le mie parole sono il mio legame più autentico con le persone, il mio personale collegamento con l'arteria del mondo.
Ed è per questo che le scrivo qui.
La ragione della mia collera
è sempre una concausa:
brucio pura entro ciascuna vampa,
insensibile
al richiamo della ragione.
È il mio sangue
che scorre via; mi sto creando
ancora, fertile.
Io sono il suolo del mio tempo
dissodato ogni luna
– io, rivoltata zolla a zolla:
frantumata dal ciclico
ritorno a galla
della donna che fui.
Riemergo intera, intessuta di trascorsi
dei miei giorni perduti
sono il rastrello del crampo
e pure la terra del campo
aperta spalancata
al respiro dell’aria
vita.
Non seguirmi,
precedimi:
solleva il velo di nebbia
che avvolge intera un’intuizione.
Non seguirmi:
guidami
lungo la strada,
mostrami una città nuova
tra quelle a me invisibili,
svelami.
Non seguirmi:
contestami
piuttosto, dimmi che ho torto,
porta le prove della fallacia del mio discorso
indica i miei limiti.
Non seguirmi.
Falsificami.
Smentiscimi.
Donami un progresso,
tu sei la mia occasione:
ché non ho certo gli occhi
dietro la schiena.
Abbiamo occhi di nuvola, nella notte e nel giorno.
Qualsiasi dettaglio riesce a far piovere.
Diluvia sui sogni: i progetti si intridono di assenze
anche adesso
che sei ancora qui.
Vorrei poter congelare il tuo odore, ora che è caldo
e la tua voce registrarmela
con frasi nuove:
perchè verrà un giorno in cui le avrò consumate tutte;
come quei dischi di vinile che, a furia d’ascoltarli, saltano di continuo.
Come ogni terzo giovedì del mese, io Sara di Blufiordaliso ci siamo prese un momento per esplorare insieme un tema. Stavolta toccava proprio a lei scegliere quale: mi ha suggerito di parlare dell’importanza della semplicità.
Allora non aggiungo complicazioni e vi lascio semplicemente le nostre parole. Sperando che questi attimi sottratti alla frenesia del quotidiano per leggerci possano riempirvi di consapevolezza, che possa essere un momento di riscoperta del sè, semplice e intenso, come è stato per noi scrittrici.
La palla a Sara.
BLUFIORDALISO
Durante le festività natalizie appena passate non mi sono fermata un attimo.
I giorni di vacanza sono stati soltanto quelli segnati in rosso sul calendario, occupati dagli impegni familiari e di circostanza che rendono uniche le nostre italianissime feste.
Ci sono stati gli auguri di rito, gli scambi di doni, le mangiate, la tombola con i premi in noccioline e mandarini e le urla dei bambini.
Tutto nella norma, dunque. Tranne, forse, per il fatto di vedere gli altri intorno a me avere qualche giorno di calma, di stop.
Io non ho fatto vacanze, quindi, ma ho sfruttato i benefici effetti di quelle degli altri: il traffico molto minore, i parcheggi liberi e la vista di persone mediamente più sorridenti rispetto al solito.
E questo si è tradotto, inaspettatamente, in una profonda riflessione personale, che mi ha lasciata malinconica, è vero, ma più ricca interiormente.
Vedere le persone intorno a me libere da impegni lavorativi, godersi i giorni di vacanza con la lentezza della colazione al bar all’ora di pranzo e delle passeggiate sul finire del pomeriggio, mi ha tuffata in una dimensione di pensieri come Stai tranquilla, non sta succedendo nulla.
Queste persone erano in vacanza, le loro attività lavorative momentaneamente sospese, e il mondo non stava precipitando, crollando, smaterializzandosi.
Calma. Lungo respiro. I momenti di riposo devono far parte della vita di una persona. Sono una conquista, dal punto di vista lavorativo.
Mi sono tornati in mente i capitoli del libro di storia delle scuole medie, quelli che parlavano della rivoluzione industriale inglese e delle condizioni in cui erano costretti a lavorare gli operai, con turni massacranti, riposi inesistenti, vacanze nemmeno lontanamente contemplate.
Eppure, un po’ di amaro in bocca rimane ancora oggi. Nonostante le lotte, i diritti, le leggi, per un lavoratore, spesso, conservare il proprio posto di lavoro è ancora una condizione difficile per la quale si corre, ci si spreme, si combatte con le unghie e con i denti in ogni momento.
E questa situazione, sovente, si acuisce anche di parecchio quando si ambisce a conservare un posto di lavoro che, nella media, reputiamo migliore di altri.
Ecco, i miei pensieri si sono concentrati proprio su questo punto.
Ha senso puntare sempre più in alto, caricarsi sulle spalle un peso eccessivo, cercare a tutti i costi di realizzare qualcosa nella vita?
Credo che una spinta di questo tipo possa, inizialmente, essere molto positiva. Sintomo di un benessere psicofisico che vorremmo estendere anche al di là di noi stessi, ci prodighiamo e cerchiamo di andare sempre avanti, ponendoci obiettivi e tentando il tutto e per tutto per realizzarci.
Solo che, a lungo andare, questa corrente può portare qualcuno di noi alla deriva.
Parlo dei perfezionisti, di quelli mai contenti e degli eterni insoddisfatti che a testa bassa non si lamentano e vanno avanti. Di quelli che si piacciono assai e di quelli che proprio non ce la fanno senza qualche riflettore puntato su di sé.
Il troppo stroppia, gli anziani lo ripetono spesso. Ma i giovani forse questo concetto non lo hanno mai assimilato.
Mi ci metto pure io, in mezzo. Sono sempre vissuta in tempo di pace, non ho mai patito la fame, sono circondata di comodità. Non nuoto certamente nell’oro, ma nemmeno posso dire di vedere insoddisfatti i miei bisogni primari e pure qualcuno dei secondari.
Mi reputo una persona normale, eppure la corrente di cui sopra ha portato alla deriva anche me.
Io appartengo alla categoria dei perfezionisti. Nulla va mai abbastanza bene; spesso mi ritrovo ad aderire pienamente al motto Chi fa da sé, fa per tre. Credo di essere anche abbastanza generosa. Quindi, puntualmente, mi sobbarco pure qualcosa che spetterebbe a qualcun altro.
Insomma, la corrente mi ha proprio travolta, altroché. E me ne sono accorta in questi giorni di pensieri e di vacanze altrui. Dopo anni, constato inorridita.
All’inizio è stato il panico.
Il momento topico, della completa realizzazione di questo pensiero è stato in auto, tornando a casa, giustappunto, dal lavoro.
Ero in tangenziale, terza corsia. La macchina correva e io mi sono resa conto di avere soltanto questa vita. E di non sapere nemmeno per quanto.
Cosa sto facendo? mi sono detta. E per la prima volta la risposta non è più stata Non abbastanza. Per la prima volta mi sono risposta Forse sto facendo troppo.
Ho cercato di calmarmi, sono rientrata in seconda corsia, poi in prima e di lì, a casa. Il batticuore è passato. Mi sono costretta a pensare a qualcos’altro, un po’ come dopo un brutto sogno.
Ma questa sensazione mi è rimasta addosso e il giorno dopo è diventata una nuova consapevolezza.
Non credete che io lo sapessi già. Consciamente intendo. Assolutamente no.
Lo so da pochissimo, è stato un processo durato più di dieci giorni.
Poi, con Irene ci siamo sentite per organizzare la pubblicazione di questo articolo e io le ho proposto Perché non parliamo di semplicità?
Sentivo di dovermi questo articolo. E di doverlo anche voi.
Chi mi segue su Blufiordaliso e sui vari social media sa che, generalmente, appaio sorridente e sprizzante energia da tutti i pori. Ebbene, sappiate anche che lo faccio per voi, per darvi la carica e, così facendo, darla pure a me stessa.
Ma, da qualche giorno a questa parte, i miei sorrisi e la mia energia hanno una fonte nuova: la consapevolezza della semplicità.
Adesso so che non devo per forza sempre puntare più in alto che posso.
So che non smetterò mai di cercare di migliorarmi (in fondo sono una perfezionista, ricordate?), ma so anche che lo farò rispettando un po’ di più la mia vita su questo pianeta.
E se questo dovesse tradursi in un lavoro semplice e umile, sarò in pace con me stessa.
Perché penso che la semplicità possa migliorami la vita. Renderla migliore a tutti.
La semplicità sta nelle piccole cose. Questo lo dicono non soltanto gli anziani, ma tutti coloro che vogliono stupire.
Secondo me in pochi ci credono. Ma io ho deciso di sì, che ci credo.
E ho deciso ancora un’ultima cosa: alla semplicità voglio abbinare la normalità.
Che si traduce in evitare di strafare solo per piacerci un po’ di più e per colpire gli altri.
Uno dei miei buoni propositi per il 2019, dunque, sarà quello di cercare la semplicità e di imparare a conviverci e a farla mia.
Perché, talvolta, ciò che ci fa stare bene è proprio qui, accanto a noi.
Ed è incredibilmente semplice e normale.
RITENZIONE LIRICA
Quando Sara mi ha proposto di parlare di semplicità, ho accettato con gioia. E a proposito di semplicità: oggi scriverò molto poco. Sara ha già detto tutto e la semplicità, a volte, è anche fare un passo indietro e non aggiungere troppe parole inutili
Sapete come nascono i nostri pezzi? Ogni mese, una delle due propone un tema. Ciascuna scrive la sua parte e poi le assembliamo insieme. Sto scrivendo subito dopo aver letto le parole di Sara, e sorrido.
Sorrido perché sono molto felice per lei: ha maturato una consapevolezza importante. La vita scorre.
Io ho vissuto alcune esperienze impegnative, che mi hanno insegnato molto presto ad apprezzare il valore della semplicità. Ormai sapete, ho perso mia madre a causa di un tumore. Per oltre un anno, ho frequentato con una certa assiduità i reparti oncologici degli ospedali. Lì ho imparato tanta leggerezza.
Sì, lo so, sembra una follia. Invece è proprio così. Non puoi fare a meno della leggerezza, quando sei costretto a convivere con l’idea che potrebbe essere l’ultimo giorno della tua vita. Sul serio, provate a pensarci. Finisce, questo gioco. Per noi, per chi amiamo. Vivi, non ne usciamo. E allora possiamo davvero permetterci di farci travolgere dagli eventi? No. Non è possibile. Dobbiamo imprimere una direzione alle nostre giornate, darci uno scopo. E imparare a godere delle piccole gioie.
Io ho assistito a uno spegnimento lento. Mi ricordo quando mia madre ha guidato per l’ultima volta. Non lo sapevamo, ma era proprio l’ultima volta. Era così felice, al volante. Si è goduta ogni minuto di quel tragitto: il sole, la strada, il rombo del motore, le mani sul volante. E poi non ne ha più avuto la possibilità. E la sua ultima tazza di tè? Quella non me lo ricordo. Un giorno, però, non è più riuscita a bere. Era arrivata ad un punto della malattia in cui poteva alimentarsi soltanto artificialmente. Hanno un valore anche le piccole cose scontate e banali, come sorseggiare qualcosa di caldo, magari intingendo un pasticcino. Io l’ho scoperto così.
Per questo dobbiamo goderci ciò che siamo, ciò che facciamo. Anche quando non è perfetto. E assaporare quei piccoli momenti di pace che ci si presentano tra un impegno e l’altro. Sono tanto preziosi.
A proposito di pace. Ripubblico una mia poesia di qualche tempo fa, che mi è tornata in mente leggendo il racconto di Sara. Un abbraccio e al prossimo mese!
Dandoti le spalle siedo sulla panca dura dei tuoi sguardi: essere all’altezza della donna che ami è una fatica insensata, – forse m’hai solo immaginata – un esercizio di postura cui non posso rinunciare. Tu solo sai.
Fu un amore di treni sui fili del telefono, di tante coincidenze: perse, capitate, prese, abbandonate.
Tu solo sai.
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Questa splendida foto l’ha scattata @travelphototube (fotografo eccezionale, seguitelo su Instagram!) e io mi sono innamorata. Della panca, dei colori, dei lampioni. Ho scoperto in seguito che si tratta di un luogo veramente speciale: il Museo di Pietrarsa a Portici, Napoli. Sede delle officine ferroviarie borboniche, antica stazione, in seguito officina grandi riparazioni delle Ferrovie dello Stato italiano. Prima o poi ci vado. Voi ci siete mai stati? Info qui: www.museopietrarsa.it
Il mio sudore scivola goccia a goccia – sul seno su un fianco – la mia fatica scorre in terra, s’insinua nelle crepe del terreno e sacra confluisce in un torrente di futuri possibili rimpianti, rimorsi, lacrime e fluidi di donne passate; per anse e rapide scava la terra e alla fine della lunga battaglia s’adagia placido in fiume per defluire in mare dove potrà congiungersi al sale dei tuoi giorni.
L’anima è nei luoghi in cui la lasci, sparsa: nei luoghi in cui, sparsa, la lasci cadere.
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A un passo dal Natale, ecco il nuovo articolo condiviso con Blufiordaliso. Questo mese non ci sono troppe introduzioni. Leggerete del Natale così come Sara e io lo viviamo. Auguri!
Ritenzione lirica
BIANCO
La mia luna d’inverno sorge presto, nel cuore del giorno: ha un lato oscuro e un volto di luce.
È Natale sui monti della luna, nell’aria siderale questa sera risuonano canti fra crateri di ghiaccio.
Non sono il buio. Non sono la luce. Cresco fino a svuotarmi per risorgere nuovamente intera. Tienimi a mente nella forma mutante equilibrio di opposti.
Questo Natale verrò ad aprire: al riso, al vuoto a ciò che è pieno al mio pianto cupo al vento che porta il sereno, benedetto sia il motore, il freno. Il mio cuore è un moto, un ciclo che non si lascia appiattire.
Questa poesia nasce un pomeriggio di metà dicembre, mentre sto impacchettando regali, sulle note di un’immancabile playlist jazz di quelle tanto adatte a creare atmosfera.
Io amo le feste, le luci, preparare con cura gli addobbi, scegliere con attenzione il regalo giusto per la persona giusta.
Da qualche anno a questa parte, però, il mio Natale si snoda tra sentimenti contrastanti.
Chi, come me, ha avuto una perdita importante, lo capisce di certo.
A Natale l’assenza di mia madre si fa sentire in modo subdolo.
La vita è andata avanti: sono passati sei anni dal nostro ultimo Natale insieme, pieni di vita, e attorno a me ho la grande fortuna di avere persone che mi amano profondamente.
Nessuna è lei.
Ho imparato a godermi la gioia anche con questa piccola nota malinconica, a lasciarmi avvolgere dall’amore di chi ho intorno. Tuttavia, a volte, e senza preavviso, il mio Natale diventa faticoso. Sento solo il vuoto, l’ingiustizia di una vita che scorre senza di lei, strappata troppo presto al Natale coi suoi figli.
Rabbia. Tristezza. E felicità. Grazia, gratitudine per la benedizione di non essere sola.
Natale è un insieme di sentimenti complessi come un cuore umano.
Tutti legittimi, non dimentichiamocelo. La gioia non è un obbligo, è un miracolo.
Blufiordaliso
-15, -10, -5… Il conto alla rovescia ci avvicina sempre di più a un nuovo Natale, ormai alle porte.
Oggi, 20 dicembre 2018, è il terzo giovedì del mese: giorno di uscita dell’articolo condiviso con Ritenzione lirica, giorno -5 al Natale e giorno particolare anche per la vostra book blogger, che questa sera avrà l’incontro natalizio del Gruppo di Lettura Adulti Bufò con Margherita Oggero come ospite. Lungo respiro, dunque, and keep calm che tutto si sistema.
Eh già, perché gli ultimi giorni prima della fatidica Vigilia – in automatico gli ultimi prima della fine dell’anno – possono essere di frenesia pura e, generalmente, per me lo sono.
Pezzi da scrivere, recensioni da pubblicare, nuove uscite letterarie di gennaio da vagliare per l’articolo di inizio mese, stesura di qualche nuovo progetto e, soprattutto, organizzazione dei giorni di festa.
24, 25, 26, 31, 1, 6 incombono sulle nostre vite. Senza pensare a tutte le cene, aperitivi, caffè dei giorni precedenti, quei momenti in cui incastri gli auguri con i colleghi, gli auguri con amici che vedi solo ogni tanto, gli auguri con i compagni di fisioterapia, con i lettori dei gruppi, con i vicini di casa.
E sono tutti bei momenti, alla fine, perché, anche se è vero che ci si incontra in occasione di una “festa comandata” (che oggi più che altro è “festa commerciale”), sono pur sempre attimi che ci regaliamo per stare insieme.
Solo che sono tanti. E tutti spaventosamente concentrati.
Il che obbliga un’orsa bruna come me, abituata a un impegno ogni tanto (con parsimonia, mi raccomando), alle serate sul divano con copertina e libro o serie tv a dividersi tra molteplici occasioni in compagnia dell’umanità.
Ecco il primo problema: se tutto ciò fosse scaglionato nel corso degli undici mesi che precedono dicembre diciamo che forse sarebbe meglio.
Ovviamente a tutti questi appuntamenti si conviene arrivare muniti di cibo e regali, va da sé.
Questo è l’aspetto del Natale che mi piace di più: dedicare del tempo a occuparmi espressamente delle persone a cui tengo. Avercelo il tempo.
Ecco il secondo problema: vuoi mettere arrivare alla cena tra amici con un bel contenitore stipato di insalata russa? Figurone e gioia.
Solo che per prepararlo ci hai messo tre ore, ritagliate durante la notte precedente, quando con un occhio guardavi la replica di L’amica geniale su Raiplay e con l’altro stavi attenta a non pelarti un dito mentre sbucciavi le patate da mettere a bollire.
Comprare l’insalata russa in gastronomia? Fuori discussione. Meglio svegliare il vicino col rumore del frullatore alle due di notte, che le uova mica di montano da sole, anzi: se non fai attenzione la maionese impazzisce pure.
Risolta la questione cibo resta tutta la parte regali.
Ed ecco il terzo, molteplice, problema.
Io amo comprare regali. Amo scegliere, pensarci prima accuratamente, scrivo persino una lista dettagliata con nomi e relative idee prima di cominciare gli acquisti. Lista che poi rendo definitiva, scrivendo i regali effettivamente presi a ciascuno.
Lo faccio da anni: #christmaslists che si aggiungono a tutte le altre (troppe) liste che scrivo ogni giorno, dei più svariati generi.
Fare un bel regalo significa pensare intensamente alla persona in oggetto, cercare qualcosa apposta per lei.
Questo, a volte, un po’ di stress lo genera, ammettiamolo. Persone con zero interessi, ma a cui vuoi molto bene: cosa regalare loro? Persone a cui fai regali da vent’anni e hai già esaurito tutta la gamma delle possibilità alla tua portata: cosa regalare loro?
Insomma, fare regali talvolta può essere complicato. Diciamo che qualche soldino a disposizione non guasta, in tal caso: non sarà l’originalità a essere premiata, ma un bel maglioncino fa pur sempre la sua figura, ad esempio. E se azzecchi il colore potrebbe anche diventare un capo d’abbigliamento molto amato.
Alcuni regali colpiscono dritto al cuore e magari sono biscotti fatti in casa. Per gli altri qualche soldino è necessario.
E qui un velo di tristezza può abbattersi su di noi: in periodi di vacche magre tutto ci pare più costoso, nulla che faccia al caso del nostro portafogli. Lo so, può sembrare un ragionamento venale. E lo è, in effetti. Ma lo sappiamo: è la bellezza che salverà il mondo. E la bellezza, spesso, costa.
Comunque, non potendo fare altrimenti, lungo respiro anche in questo caso and pazienza, sarà per il prossimo Natale.
Intanto io sforno più biscotti. Che l’home made è sempre una bellezza (e in questo caso anche una bontà).
Risolti i tre principali problemi del Natale, va da sé che rimanga per me un bel momento dell’anno. Velato da un po’ di malinconia, forse questo sì.
Per molti anni mi sono interrogata sul perché io mi senta così a Natale e una risposta vera non l’ho ancora trovata. Capitemi, ero pur sempre una bambina che il 24 faceva i compiti delle vacanze fino alle sette di sera, per sua precisa scelta.
Forse sono così perché, in fondo, so che non importano i regali, le decorazioni, le lucine. Rendono tutto un po’ più carino, certo. Ma sono le persone i veri protagonisti del Natale. E probabilmente sono quelle che mancano a essere veramente presenti.
La malinconia rimane, è vero. Ma che ci volete fare: vorrà dire che per tirarmi su leggerò qualcosa di bello! A presto, con una nuova lista di splendidi libri: i libri del Natale 2018. Auguri!
Non so lasciarti andare
al fondo della notte ti vengo a cercare
tra lembi di collera scompaginati
dall’indifferenza del mondo,
nel vuoto del rumore di fondo:
sperando sempre di ritrovare
la tua rabbia intatta
ancora gemella alla mia.