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L’estate è arrivata, anche quest’anno.

E in questi giorni dall’afa che ci fa boccheggiare e il sole alto nel cielo, Ritenzione lirica e Blufiordaliso arrivano con l’ultimo articolo condiviso della stagione 2018/2019.

La nostra collaborazione è nata lo scorso settembre ed è continuata con un articolo condiviso ogni mese: vi abbiamo parlato di tanti argomenti diversi, consigliato libri, dedicato poesie.

L’articolo condiviso di giugno è un po’ anomalo, rispetto agli altri.

Sarà più stringato, ma il suo significato è pregno di importanza e profondità.
Per scriverlo ci abbiamo messo parecchio tempo, ci abbiamo pensato e ripensato.
Ci siamo incontrate e ne abbiamo discusso, davanti a un cocktail al melograno.
Già, perché i nostri pensieri corrono veloci e, anche se siamo costantemente prese da decine di altre cose da fare, ciò che sentiamo veramente importante rimane sempre con noi.

I prossimi mesi saranno densi di bei progetti, per entrambe.
Progetti di realizzazione personale, ne siamo consapevoli.
Ma sappiamo pure che ogni piccolo gesto compiuto individualmente influenza in qualche modo la società in cui viviamo.
Una società complicata, intricata, tesa, a volte impraticabile; ma anche bella e piena di persone che danno un senso alle nostre vite.

E noi cosa possiamo fare per la comunità in cui viviamo?
Certi giorni l’unica risposta che ci pare abbia un senso sembra essere “la rivoluzione”.
Ci siamo chieste come potremmo farla, una rivoluzione. Se sia giusto oppure no.
Se ne saremmo in grado.
Una risposta definitiva a tutti questi interrogativi, ovviamente, non l’abbiamo trovata.
Quindi ciò che possiamo fare, durante questi caldi mesi estivi, è studiare, informarci, leggere, pensare seriamente.

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Questo articolo vuole essere un invito a tutti noi, un incoraggiamento a utilizzare bene il tempo delle vacanze, che deve essere tempo di riposo e anche di consapevolezza.
E allora, ecco i nostri

DIECI CONSIGLI PER UN’ESTATE DAVVERO RIVOLUZIONARIA

  1. L’estate è la stagione in cui andiamo in vacanza.
    Non ci perderemo in giri di parole. Il turismo è la terza industria più inquinante al mondo. Proprio così.
    Tutti quei voli low cost hanno un impatto sul clima; ma ci sono anche molte compagnie aeree che con un supplemento minimo si impegnano a piantare abbastanza alberi da ridurre o persino neutralizzare l’impatto del volo che hai appena preso.
    Se puoi, viaggia in treno.

    Ci sono tante piccole cose che puoi fare, per ridurre il tuo peso sull’ecosistema. Differenzia i rifiuti anche in vacanza, ad esempio. Compra solari poco inquinanti. Non portarti a casa la sabbia bianca di quella spiaggia in Sardegna. Assumiti la responsabilità di prenderti cura del pianeta che ami visitare.

  2. D’estate, in viaggio, tendiamo a riempirci di souvenir. I vestiti comprati in vacanza hanno un altro appeal, poco da fare. E sicuramente abbiamo tutti qualche soprammobile inutile in casa, scelto personalmente o donato da qualcuno.
    Tutto questo ha un impatto. Come ogni acquisto.

    Prima di acquistare qualcosa, qualsiasi cosa, fatti tre domande.
    Ho davvero bisogno di questo oggetto?
    Per caso possiedo già qualcosa di molto simile?
    Sto utilizzando i miei soldi per l’acquisto di qualcosa che è compatibile con la mia etica, dal punto di vista dei materiali, del ciclo di produzione, del processo produttivo?

    I nostri acquisti compulsivi provocano danni incalcolabili all’ambiente, premiano produttori iniqui, finanziano cause sbagliate. Per non parlare del peso emotivo di tutte le decine e decine di oggetti che ci circondano ogni giorno, trattenendoci nel passato e obbligandoci a perdere tempo per fare spazio o riordinare.
    Per ricordare una vacanza potrebbe non essere necessaria l’ennesima tazza made in China con il logo del posto stampato sopra.

  3. E allora, se devi fare così tanta attenzione ai souvenir, come conservare un ricordo di quella gita fuori porta? Beh, oltre ad acquistare cartoline, prova a fermare su un taccuino un istante, descrivendolo o disegnandolo. Ti sarà utile nei mesi a venire, perché le belle sensazioni e i bei ricordi sono quello che ci salva nei momenti più bui, quelli in cui tutto sembra impossibile.
  4. Ritrova negli oggetti che ti circondano il passato. Il tuo, quello della tua famiglia. E prova ad allargarlo alla comunità in cui vivi, alla società in cui vivi. Tu, la famiglia, la comunità, la società: sono tutti elementi costituiti da persone. Che vivono un presente, ma hanno anche un passato e, soprattutto, un futuro. Le vite che sono venute prima delle nostre racchiudono il segreto per affrontare il futuro e solo così, ricordando il passato, abbiamo qualche possibilità.
  5. Dedica un piccolo tempo ogni giorno alla contemplazione e al pensiero. Chiudi gli occhi o tienili ben aperti, non importa. La cosa davvero importante è concentrarti su te stesso e pensare, con calma. All’inizio magari ti verranno in mente solo argomenti futili o pensieri esclusivamente rivolti a te. Non importa. Col passare dei giorni scoprirai che tutti siamo in grado di vedere oltre il nostro personale orticello.
  6. Leggi, studia, ascolta podcast, guarda video, serie tv, film, documentari; vai a teatro, al cinema, ai concerti. Tutto è informazione. Tutto è cultura. E senza cultura siamo perduti.
  7. In mezzo a questo magma, però, cerca di individuare la notizia più significativa del giorno appena trascorso. Siamo costantemente bombardati di stimoli e spunti, su tantissimi diversi tipi di media, e spesso rischiamo di restare travolti, al punto da non essere più in grado di classificare le notizie per priorità o importanza.
    Questo ci espone al pericolo di farci sfuggire i fondamentalisti. Potremmo trovarci nella condizione di sottovalutare grossi rischi. Pensiamo alle notizie sulle catastrofi climatiche, annegate tra decine di articoli su temi meno urgenti da considerare. L’estate può essere un buon momento per rivedere le priorità e allenarsi a selezionare.
  8. Anche a causa degli algoritmi dei social network, costruiti per proporci contenuti commercialmente appetibili in base ai nostri gusti, è spesso complicato uscire dalla nostra bolla mediatica.
    Se abbiamo amici con opinioni simili alle nostre a cui siamo abituati a mettere like, probabilmente di fronte alle notizie più significative del giorno leggeremo reazioni simili alle nostre idee, scrollando il wall di Facebook.

    Eppure siamo sicure che avete anche voi quell’amico che la pensa radicalmente all’opposto da voi.
    Quest’estate, una volta alla settimana, andiamo a dare un’occhiata ai suoi post. Oppure impegnamoci a leggere un articolo di un giornale che odiate. E proviamo a individuare almeno un punto di contatto tra voi e chi ha idee contrarie alle vostre. O a farci qualche domanda: e se su questo tema mi stessi sbagliando?
    Magari ne uscirete ancor più rafforzati nelle vostre convinzioni. Ma chi non si mette mai in discussione non può più evolvere. Ed è un rischio concreto, nella società moderna.

  9. L’estate è una stagione nella quale il nostro corpo è più esposto.
    Agli sguardi, certo. Ma prima ancora all’aria aperta. Prova a concentrarti sulle tue sensazioni fisiche, senza collegarle all’estetica del tuo corpo. La brezza del mare è piacevole, sulla pelle. Indipendentemente dalla tonicità delle tue chiappe. Non permettere all’industria della cosmesi, al tuo status sentimentale o al tuo grado di forma di influenzare le tue percezioni sensoriali. Ti meriti di godere la gioia della pelle nuda, a prescindere, sempre e comunque.
  10. Vivi. Goditi questa estate. I giorni di sole e pure i temporali improvvisi. L’odore di crema solare e il fresco delle zone ombreggiate. Inspira profondamente e tieni gli occhi sempre ben aperti: i giorni di riposo ti daranno la forza di affrontare con la giusta consapevolezza l’autunno che verrà.

 

I nostri articoli condivisi tornano a ottobre.
Nel frattempo, però, siamo qui.
E sappiate che abbiamo sempre voglia di chiacchierare con voi.
Buona estate!

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Lo spazio della scrittura

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Ritenzione lirica

DOVE NASCE LA POESIA

Nasce sulle strisce pedonali
turba i passanti
all’incrocio dello sguardo
disarmato del mio sorriso
durante l’epifania.

È figlia delle lenzuola sfatte
al limitare dell’alba
in cui pigra riprendo coscienza;
il padre è il mare, sacro Dio
delle ferite piegate
mare che crea e distrugge.
La madre siede sul fuoco
presiede al traffico del forno
e partorisce il simbolo del pane.

La poesia nasce per strada
mentre vado al lavoro
e al ritorno
si fa largo tra le fermate della metro
per prendere la forma di un balcone
sul mio cuore.

La poesia si raccoglie alle sei
di sera
alle sei del mattino
come il fiore d’un campo di maggio
punteggiato di consapevolezze

e separo il dolore
petalo a petalo;
stille di felicità incommensurabile
di meraviglia
prendono il largo dell’onda del giunco
sulle rive del tramonto
mi lascio benedire
capello per capello
corolla per corolla.

La poesia si raccoglie in terra
dentro la cesta di un mercante
è sporca di salsedine e curcuma
me la prendo

ovunque.

 

La mia poesia non è mai pianificabile.
Non è che posso fermarmi in un posto e scrivere. Non funziono così. È lei che viene a cercarmi: in genere mentre ascolto musica, quando ho lo sguardo aperto a cogliere un punto di vista diverso sulla strada, o sulla stanza in cui mi trovo. Quando meno me lo aspetto, le parole affiorano da sole. Io le scrivo.
Quel che posso fare è aprirmi alla poesia. Darle lo spazio per emergere.
Ecco, lo spazio ha un impatto, nella costruzione di una poesia.
Certi luoghi predispongono più di altri all’ascolto: ci sono ambienti nei quali si è più ricettivi al richiamo della bellezza. Non si tratta necessariamente di splendidi palazzi o di paesaggi instagrammabili. Io, ad esempio, ho sempre trovato più facilmente la poesia nei luoghi periferici.
Nel movimento dal centro alla periferia, persino.
Molte mie poesie, ad esempio, nascono nel tragitto tra casa e lavoro. Corso Francia. Uno dei più eleganti viali della mia città, Torino. Con i suoi 11,75 km complessivi è il corso rettilineo più lungo d’Europa.
Parte dalla centralissima Piazza Statuto e arriva fino a Rivoli, alle pendici della Val di Susa, attraversando ben 3 comuni diversi (Torino, Collegno, Rivoli).
Io percorro una parte del tratto torinese, costeggiato da eleganti palazzi liberty, fino a costeggiare il parco della Villa della Tesoriera e a giungere ad una zona caratterizzata da edifici più moderni.
Molte mie poesie sono nate in corso Francia, nelle mie lunghe passeggiate.
Quasi tutte, però, nel percorso dal centro alla periferia. Mai il contrario.

Non credo sia un caso.
La poesia prende forma nello spazio nel quale riusciamo a stupirci meglio, nel quale siamo più liberi di essere, senza barriere. È lo spazio della spontaneità. Io sono nata e cresciuta in periferia. Ho lo sguardo allevato a palazzoni e piccoli parchi trascurati, in un quartiere dormitorio post industriale.

Inevitabile che nel movimento verso la periferia riesca ad attraversarmi meglio, fino a scoprire gli agganci simbolici della poesia.
Il luogo della scrittura, in ogni caso, è molto importante non solo per i poeti, ma in generale per tutti gli autori. Ancor più per le autrici.
Lascio la parola a Sara, che vi aprirà un orizzonte su questo tema.

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Blufiordaliso

Il luogo in cui si scrive è come uno scrigno.

Può racchiudere inestimabili tesori e desta curiosità, ambizione, invidia.

Come uno scrigno può essere trasportato altrove, anche se talvolta con difficoltà.

Come uno scrigno è prezioso e contiene qualcosa di ancora più prodigioso.

Sta a ognuno di noi costruirselo, anche se spesso si crea piuttosto da solo: intarsiato e ricco di decorazioni, oppure minimale e sobrio.

Lo scrigno rispecchia noi e, giorno dopo giorno, ci accoglie come gemme preziose.

Il posto dove scriviamo è solo nostro, anche se siamo circondati da decine di altre persone. Anche se è un luogo pubblico e rumoroso. Anche se nessuno sa che stiamo scrivendo o che è il nostro luogo.

Il posto in cui le parole trovano, con tanta fatica, un senso messe una dopo l’altra – un senso per noi, almeno – è come una pietra preziosa in cui riflettersi.

È un luogo che trova spazio dentro di noi e un luogo fisico.

Nel posto in cui scriviamo, generalmente, c’è spazio per chi scrive, per gli strumenti di scrittura e per i compagni di viaggio imprescindibili, quelli che durante la pratica della scrittura non possono mai mancare.

Il luogo della scrittura è un luogo importante. È un laboratorio artistico, al pari dello studio di un pittore o di un illustratore; della stanza del pianoforte di un musicista; della camera oscura di un fotografo. In questo posto tutto ciò che si può creare con le parole prende vita, generato da chi scrive: poesie, racconti, romanzi, storie per bambini, sceneggiature, articoli di giornale, saggi. Tutto.

C’è chi scrive immerso nel silenzio; chi riesce a concentrarsi soltanto con gli auricolari e la musica nelle orecchie; chi deve sentirsi in mezzo agli altri e chi vuole restare per forza da solo.

Marcel Proust scriveva sdraiato a letto, con dei grandi pastelli colorati perché quasi cieco.

Kent Haruf si era costruito apposta un capanno in giardino.

Stephen King scrive tutte le mattine e il suo studio è un intero edificio, che ospita anche tutto il suo team.

E le donne?

Per noi trovare un luogo da dedicare alla scrittura è stato un cammino faticoso, come ci ricorda la Storia.

Alle donne era riservata la cura della casa, ma quelle stanze in cui ci si muoveva ogni giorno erano da pulire, rassettare, strigliare e non da utilizzare come luoghi per generare letteratura.

Jane Austen scriveva in salotto, seduta all’unica scrivania di casa. Non lo diceva a nessuno, ovviamente. Non avrebbe potuto. A ogni cigolio della porta nascondeva il suo manoscritto sotto il ricamo che stava realizzando. Pubblicava con pseudonimo maschile, così come avevano fatto Emily, Anne e Charlotte Brönte.

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La scrittura era di proprietà maschile; una donna non avrebbe avuto sufficiente sale in zucca per dire qualcosa di interessante da leggere.

La questione dei luoghi della scrittura per le donne viene sollevata per la prima volta da Virginia Woolf nel suo saggio Una stanza tutta per sé (Mondadori).

La donna entra della stanza – ma a questo punto si dovrebbero tendere all’infinito tutte le possibilità della lingua inglese e interi sciami di parole dovrebbero farsi strada volanti illegittimamente nell’aria fino a prendere vita, prima che una donna sia in grado di spiegare che cosa succede quando entra in una stanza. Le stanze sono così diverse l’una dall’altra; sono tranquille o tempestose; affacciate sul mare o, al contrario, sul cortile di un carcere; con il bucato appeso ad asciugare; o risplendenti di opali e di sete; sono dure come crine di cavallo o soffici come piume – basta entrare in qualunque stanza di qualunque strada perché salti agli occhi tutta quella forza, estremamente complessa, che è la femminilità. E come potrebbe essere altrimenti? Perché sono milioni di anni che le donne siedono in quelle stanze, cosicché ormai le pareti stesse sono intrise della loro forza creativa, la quale ha sopraffatto a tal punto la forza dei mattoni e della malta che deve per forza attaccarsi alle penne e ai pennelli e agli affari e alla politica.

Virginia Woolf, femminista del Novecento e grande scrittrice, morta suicida nel 1941, rivendicava il diritto delle donne di potersi dedicare alle arti e, in particolare, alla scrittura.

Il ruolo della donna non può più essere soltanto quello di moglie e madre: il primo conflitto mondiale ha portato all’evidenza di tutti la centralità sociale della donna lavoratrice; le suffragette in rivolta ottengono il diritto di voto universale; le battaglie più ardue, per il divorzio e l’aborto, si combatteranno qualche tempo dopo.

Sullo stato dei diritti della donna e del femminismo ai giorni nostri occorrerebbe aprire un altro doloroso capitolo, ma in questo articolo Irene e io ci concentriamo sui luoghi della scrittura ed entrambe conveniamo sulla loro importanza, esattamente come Virginia Woolf.

Costruire un proprio spazio, un luogo che ci rispecchi e che contenga tutta la forza necessaria a scrivere è fondamentale. I muri dei nostri luoghi della scrittura non sono confini, anzi. Sono pareti che racchiudono tutta la forza di cui parla Virginia, sono il calore necessario, l’ossigeno creativo.

Ognuno di noi, essere umano che scrive, costruisce il proprio e lo riempie di tutte le cose che ritiene necessarie: penne e quaderni; computer; libri; quadri; tazze di tè; candele; una finestra; un divano; un tappeto; sedie e tavoli; un gatto; un cane; un pesce rosso. Persone; musica; il rumore dei treni; il cinguettio degli uccellini. Le immagini di una tv muta; il sole; la notte.

Tutto ciò che vogliamo per generare creature di parole. Così come ci dice Virginia vorrei chiedervi di scrivere ogni genere di libri, senza esitare davanti a nessun argomento, per quanto futile o vasto vi possa sembrare. A ogni costo, spero che riusciate a entrare in possesso di una quantità di denaro sufficiente per viaggiare e per starvene con le mani in mano, per contemplare il futuro o il passato del mondo, per sognare sui libri e bighellonare agli angoli delle strade e lasciare che la lenza del pensiero si immerga profondamente nella corrente.

Primo maggio di cervelli in fuga e cuori in dispersione

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Non sa smettere di piovere;
il vento fischia presagi mascherati da promesse
raccoglie i profumi del cibo
stipato nei bagagli
percorre piste blu Ryanair:
per lavorare,
lontano dalla terra.

Ricercare le colpe
un esercizio sterile
come il campo abbandonato
come un quartiere disabitato
come una messa senza bambini
la morte di un mercato.
Siamo dispersi:
non tornano i tempi
si afferrano gli attimi.

Cercare lavoro
spesso
è trovarsi nuovi
tra volti stranieri crearsi daccapo.
Senza lavoro la città muore
diventa vecchia
avvizziscono i fiori
le strade sono preda dei ladri
i vecchi si isolano nelle loro case.
Senza lavoro nasce un deserto
un paesino si estingue
diventa folclore e turismo.
Il lavoro ci fa emigranti
fa salire gli affitti
uniforma le capitali
crea poli uguali ai capi del mondo.

Mi siedo sui gradini di una chiesa nascosta.
Son ripartiti: domani al lavoro
oggi sono in volo
con gli occhi pieni di ulivi
le lacrime piene di sale.

Primo maggio di cervelli in fuga
di cuori in dispersione:
il lavoro plasma la terra
cosa vuoi coltivare
cosa hai seminato?

Questo è il mio sorriso

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I miei tempi di recupero
dal profumo integrale
lusso biscottato sulla punta della guaina
che cinge un guaio – ciascuno
indistintamente
cronico o accidentale
nel suo involucro non riciclabile

ma io faccio la differenziata
e credo nel libero arbitrio:
del destino, me ne fotto –

al novatreesimo minuto oso
oltre il fiato, un riposo:
e dai miei scarti so recuperare
un balsamo per labbra di luce.

Programmare o improvvisare: questo è il dilemma

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Voi programmate tutto nel dettaglio o preferite lasciarvi un buon margine di improvvisazione?

Sto lavorando a una raccolta delle mie poesie e faccio un po’ fatica a tenere insieme tutti gli impegni: lavoro, pagina, libro, il mio matrimonio da organizzare, una serie di impegni personali…Ne ho parlato con Sara di  Blufiordaliso , che invece è una pianificatrice fantastica. Ci siamo dette: perché non dedicare il nostro spazio del mese di aprile a questo tema?

Ecco le nostre riflessioni. Buona lettura!

BLUFIORDALISO

Car* Lettrici e Lettori,

siccome sono sempre stata onesta negli articoli che scrivo e pubblico sul blog, dopo avervi aperto il mio cuore più volte in questo spazio di scrittura condivisa che è l’articolo mensile in collaborazione con Ritenzione lirica, anche in questa occasione non posso esimermi dal rendervi parte della mia maniacalità.

Già, perché di questo si tratta.

Sarà il segno zodiacale (vergine ascendente vergine), sarà l’educazione pragmatica e decisa ricevuta da bambina, a improvvisare faccio una fatica bestiale.

Non solo: io sono una fan delle liste. Sicuramente una delle “fan più attive” delle liste di qualsiasi genere e tipo, per utilizzare un linguaggio tanto caro al mondo Facebook, che della modalità “Lista” ha fatto un suo cavallo di battaglia.

Scrivo liste per organizzarmi la vita (o meglio, illudermi, così, di organizzarla) fin da quando ero bambina. All’epoca erano liste scolastiche: compiti da fare, capitoli da studiare, un planning degno di nota. Le scrivevo su block notes a righe o a quadretti, a seconda di cosa passava il convento.

Poi, adolescente, c’è stata l’evoluzione della specie: un bellissimo blocco per appunti spiralato, con copertina rigida e rigorosamente a righe ospitava le mie liste più disparate.

Inaugurato in quel tempo, non ho più abbandonato il metodo.

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Adesso le mie innumerevoli liste trovano spazio in un’agenda sempre a righe, ma in formato A5, con copertina rigida, ma rilegata e con tanto di elastico a chiusura, ché le pagine stropicciate stropicciano pure l’ordine mentale che le liste hanno il prezioso compito di gestire.

Scrivo liste praticamente per tutto. La lista con il planning settimanale, ovvero tutte le attività che riempiono i 7 giorni moltiplicati 52 settimane, è un elenco di tutto ciò che so o prevedo mi capiterà, dalla spesa al supermercato all’appuntamento dal dentista.

Poi ci sono le molteplici liste dedicate ai libri, ovviamente.

Da lettrice forte e maniacale, bibliofila e bibliomane, non può che esser così.

E allora ecco che ho:

  • la lista dei libri che leggo durante l’anno, suddivisi per mese e con tanto di classificazione a stelline;
  • la lista dei libri che vorrei comprarmi, che provvedo ad aggiornare periodicamente con i nuovi titoli che hanno rapito il mio cuore e depennando quelli che hanno provocato lo svuotamento del portafogli;
  • le liste dei libri che compro: qui si parla al plurale, perché tengo una lista per ogni libreria in cui mi reco e su ciascuna scrivo titolo, autore, prezzo e pure sconto ricevuto, quando c’è;
  • la lista dei libri da leggere, con una pseudo programmazione di massima;
  • la lista dei libri che tratto nei vari gruppi di lettura nel corso dei secoli;
  • la neo inaugurata lista inerente la biblioterapia umanistica.

Ecco, invece, le liste della donna forte e determinata, quella tutta d’un pezzo:

  • la lista delle spese con carta di credito. In realtà sullo smartphone ho l’applicazione che mi dice in tempo reale per filo e per segno cosa spendo, quando e dove, ma il cartaceo ha il suo fascino e io non riesco a resistere;
  • la lista delle entrate e delle uscite sul conto corrente, perché una brava casalinga disperata mixata a donna lavoratrice come me deve sempre sapere quanto in basso cada mensilmente il proprio conto in banca;
  • la lista dei regali di Natale, fondamentale. Ogni anno una nuova lista, da confrontare con le liste degli anni precedenti, ovviamente conservate gelosamente. La mia prima lista di regali natalizi risale al 2004, fate un po’ voi.

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Poi ci sono piano e calendario editoriale, strutturati in liste e in continuo aggiornamento, dedicati al blog e ai social. Ammetto che queste sono ancora un po’ ostiche e difficili da rispettare, sigh.

Prima di ogni viaggio c’è la lista delle cose da mettere in valigia, preceduta dalle varie ipotesi di outfit declinate giorno per giorno. (Per le vacanze estive dello scorso anno ho pure fatto il disegnino dei vari capi di abbigliamento, per farvi rendere conto della paranoicità della questione.)

Infine, prima del Salone del Libro di ogni anno, c’è la LISTA DELLE LISTE.

Una sola lista che racchiude in sé tutto lo scibile umano in materia letteraria, integrando, per ogni giorno di apertura:

  • elenco degli stand da visitare, con nome dell’editore e posizione sulla mappa
  • elenco dei titoli da visionare presso ogni casa editrice
  • elenco delle domande da porre a ogni editore
  • elenco degli eventi a cui partecipare dentro il Salone
  • elenco degli eventi a cui partecipare fuori il Salone, ovvero attinti dal programma del Salone Off
  • elenco delle persone da incontrare, con relativi orari

Immaginatevi, pertanto, una me esagitata percorrere ogni giorno chilometri tra un padiglione e un altro, armata di trolley, almeno tre borse e lista alla mano. Un’avventura unica.

Insomma, a questo punto credo vi siate fatti un’idea del livello di maniacalità.

Programmare è un mantra, un’ossessione quasi, a cui slegarsi è davvero difficile.

Organizzare tutto il possibile è il modo che conosco per avere le idee chiare in testa.

Ma attenzione, le cose più belle spesso capitano per caso, improvvise. E sono magnifiche. Forse per questo continuo a scrivere liste: per non smettere mai di meravigliarmi ogni volta che una cosa bella capita inaspettatamente e mi lascia senza fiato

RITENZIONE LIRICA

LA PORTA LASCIATA APERTA

Disciplinavo i miei fremiti
per seguire le indicazioni
e avevo contenuto il mio tempo
entro i margini di un’agenda

ma una vecchia mi trovò
alla corsia dei detersivi: aveva
una storia per me, una genealogia
di denti, sguardi, ricordi scombinati;

per lei mi son fermata ad ascoltare.
Ho perduto mezz’ora. Alla cassiera
lasciai altri minuti: la conoscevo,
mi ricordava dalle altre vite passate
– Stai meglio coi capelli lunghi. – disse
mi rese uno sguardo che avevo perso
per strada. Tornai a casa più giovane.

Poi venne Gesù Cristo:
bussò alla mia porta ed era mio fratello
aveva fame e sete, gli serviva ascolto
era solo in mezzo agli ulivi
ed era un ospite
un’amica lontana
aveva gli occhi di mio nonno
non sapeva mentire.
Venne Gesù Cristo in persona
e non ebbi il cuore di tener fede ai patti
scordai i buoni propositi
e lo lasciai entrare, versai da bere, l’orecchio
si fece ventre, impastai un pane.

Alla fine del giorno qualcosa era scaduto
avevo lasciato indietro molti piani
sui miei programmi ero in ritardo mostruoso.
Feci un sol sonno, di pace:
per fortuna un vento imprevisto
era giunto a salvarmi
dal capitalismo del sentire.
Lascio sempre la porta aperta alla vita.

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Ecco, io sono decisamente più caotica di Sara.

Ci provo anche, a farmi dei programmi di massima, giuro. All’inizio di una nuova attività, ad esempio, presa dallo slancio di entusiasmo iniziale. Butto giù la mia to do list e cerco di attenermici.

Allenarsi, ad esempio. Sì, dopo il lavoro da lunedì mi alleno un’ora a casa, un giorno braccia, un giorno gambe, un giorno addominali. Ho un piano.

Solo che una può anche pianificarsela, la vita: lei ti spiazza lo stesso. Ti prende in contropiede. Proprio quell’ora in cui dovevi allenarti, ad esempio, ricevi quella chiamata della tua migliore amica che ha una storia da raccontarti. Inizia a parlare e ti accorgi che avevi un sassolino da toglierti, un pensiero represso, che non sai come ma con Erica è venuto a galla, ti è sfuggito di bocca prima che potessi elaborarlo compiutamente e ti sei accorta che sì, ecco cosa manca.

E nel frattempo ti è venuta un’idea. Quindi quando attacchi butti giù due righe. Ma neanche il tempo di iniziare ed ecco, il telefono squilla di nuovo. E’ tuo fratello, ha bisogno di ascolto. Eccomi, sono qui.

Si fanno le sette, ora di cucinare. Vediamo cosa c’è in frigo? Poco, è giovedì.

Spesa veloce. E lungo la strada una farfalla, un tramonto particolarmente fotogenico, un incontro casuale con qualcuno che non vedevo da un pezzo…

Tutto questo per dire che non sono contraria alla pianificazione in sé: è sempre utile riordinarsi le idee.

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Nella consapevolezza, però, che ci si sta muovendo nel mondo delle idee e delle aspirazioni ideali. Il controllo è un’illusione: siamo esseri finiti, frangibili, distruttibili.

Alla fine la realtà ci coglie sempre di sorpresa. E meno male: se non lasciamo la porta aperta all’imprevisto, rischiamo di avvilupparci su noi stessi. La luce, la comprensione delle cose, passa per la relazione con l’altro e dunque, inevitabilmente, entra dalle crepe della nostra rigida illusione di controllo.

Non pianificare troppo è anche una mia segreta ribellione alla logica capitalista dell’accumulo: di traguardi raggiunti, di obiettivi prefissati, di ricordi. Quasi come se fosse un profitto, anche la nostra vita rischia di trovarsi incasellata in una partita doppia: Dare/Avere. To do/Done.

Io mi rifiuto. Il valore delle mie esperienze è relativo, non basta accumulare una tessera punti per farsi trovare preparati. Preferisco allenarmi ad essere flessibile e adattabile alle vicende della vita.

Ogni tanto dobbiamo perdere qualcosa, per poter proseguire il viaggio più leggeri e continuare a guardare con stupore alle esperienze del vivere.

Haiku del risveglio

Raggio di sole:
la notte è passata
sul mio cuscino.

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Questo dipinto di Davide Cascone è un’emozione.
Mi ha catturata subito. Gliel’ho detto e, solo a quel punto, lui mi ha svelato di averlo realizzato ispirato dal mio HAIKU DEL RISVEGLIO.
L’arte è questo: scambio, condivisione. Corrispondenza nel sentire, tra due perfetti estranei, legati solo da contatti in comune sui social. Intimità di un’emozione senza nome, per la quale non esiste una parola.
Sì, la sente anche lui, questa cosa. Nel suo sguardo è fatta così.

Primavera, rinascita e coraggio

spring time_3.jpgE’ di nuovo il terzo giovedì del mese, e io e Sara di Blufiordaliso ci siamo prese il nostro spazio per celebrare questo giorno: è il 21 marzo, inizia la primavera!
Riprendendo il contatto con la terra e le radici, e provando a rendere questa stagione un tempo per sbocciare.
Come? Con la narrativa e la poesia, gli strumenti che più amiamo.
Iniziamo!

RITENZIONE LIRICA

La primavera è in pericolo.
È un pensiero martellante di cui non riesco a liberarmi, in questi giorni.
Sarà che quest’anno l’inverno ce lo siamo perso per strada: i fiori sono sbocciati con oltre un
mese di anticipo. Fa caldo. Molto caldo. Troppo caldo.

Signori, inutile che ce la raccontiamo: queste potrebbero essere le ultime primavere che
vediamo sbocciare. Il clima sta cambiando, è sotto gli occhi di tutti. E non ce la faccio, a
godermi questa bellezza senza avere paura.
È passata una settimana scarsa dallo sciopero mondiale contro il cambiamento climatico del 15 marzo. Io ho partecipato a Fridaysforfuture con una poesia, che vi riproporrò alla fine di queste righe. Ma non basta. Servono gesti concreti, una presa di coscienza dell’insostenibilità del nostro stile di vita. Un’assunzione di responsabilità.
Dobbiamo sostenere politici che si impegnino davvero per l’ambiente. Non abbiamo tempo: la politica deve darci risposte, dobbiamo pretenderle.
Ma non basta neanche questo. Come singoli, abbiamo l’imperativo morale di pensare
all’impatto delle nostre scelte di vita sul pianeta.
Io come individuo cerco di fare la mia parte ogni giorno, consapevole che potrei fare di più.
A primavera la natura rinasce: tocca anche a noi rinascere, come vi racconterà Sara tra poche righe, e sarebbe bello ripartire rendendo più sostenibili le nostre abitudini.
Quindi oggi, prima di lasciarvi la mia poesia, voglio appuntare qui con voi 10 gesti concreti, facili, che io riesco ad attuare ogni giorno senza difficoltà e che possono ridurre il nostro impatto sull’ambiente.
– Mangiare meno carne: due o tre porzioni a settimana sono sufficienti.
– Portare sempre con sé sacchetti di stoffa per non usare quelli di plastica.
– Non utilizzare piatti e bicchieri di plastica.
– Comprare frutta e verdura di stagione, locale, magari al mercato da un rivenditore di fiducia e possibilmente sfusa: vi accorgerete che costa molto molto meno e dura anche molto di più!
– Evitare le confezioni monoporzione con tanti imballaggi: anche questa scelta vi porterà a risparmiare moltissimo.
– Spostarsi a piedi o in bici il più possibile: costa meno della palestra e consente di non
inquinare.
– Sostenere organizzazioni che piantano alberi, come Treedom. È un bellissimo regalo da fare alle persone che ami o a te stesso e contribuisce a neutralizzare le tue emissioni. Io cerco di piantare almeno 3 alberi all’anno, è poca cosa ma meglio di niente.
– Fare pochi viaggi aerei. Inquinano tantissimo. Io sono diventata consapevole da poco di
questa forma di inquinamento, non viaggiando in aereo per lavoro ho deciso che cercherò di non prendere più di 1 volo A/R all’anno (ma è un inizio).
– Usare detersivi e saponi ecologici. Sono disponibili in quasi tutti i supermercati, costano all’incirca come quelli normali e la pelle ringrazia.
– Non comprare più vestiti se non ce n’è un reale bisogno. Abbiamo armadi pieni di abiti che non utilizziamo.

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Vi lascio alla mia poesia, che non ha un titolo.
Gli alberi di questa poesia hanno rami spogli: tutto il contrario della rigogliosa primavera che sta sbocciando sotto i nostri occhi.
Preserviamola. Facciamo in modo che non diventi qualcosa da raccontare ai nostri figli.

 

Umanità degenerata
rapace – il peso di lobotomie:
nutrire eredi di terreni inariditi,
di rami rinseccati, spezzati dal vento
di deserti sterili, privati
delle radici, depravati.

Il mare incombente
reclama la vita
brodo da cui emergemmo vermi
e poi iguane
e infine uomini.
Attendere il mare
– che sommerga le colpe;
o invece, un sussulto.

Chi altro dovrebbe battersi
per il nostro futuro?

BLU FIORDALISO

Il terzo giovedì del mese di marzo quest’anno corrisponde al 21, ovvero proprio al giorno in cui, come ci hanno insegnato a scuola, cade l’equinozio di primavera.
L’articolo condiviso con Ritenzione lirica, quindi, questo mese non può non raccontare di
primavera.
In realtà, quella del 21 marzo è una data convenzionale, poiché astronomicamente parlando, l’equinozio può cadere ogni anno tra il 19 e il 21 marzo.
Il 2019 vede l’inizio della primavera il 20 marzo alle 22:58, ma io sono affezionata alle
reminiscenze scolastiche e, in fondo, al 21 marzo mancherebbero soltanto 2 minuti.
Una nuova primavera è giunta a noi, dunque. Felici?
Il mondo pare ancora dividersi a ogni cambio di stagione: c’è chi esulta gioioso per il sole, il tepore e le vacanze sempre più vicine e chi, invece, si sente già svenire dal gran caldo e rimpiange tristemente i week end sulla neve.
Io quest’anno ne sono contenta.
I primi due mesi dell’anno sono stati difficili e anche marzo non è decisamente cominciato sotto i migliori auspici: per questo non mi resta che sperare in una nuova stagione, in un cambiamento di temperature che si porti appresso pure un po’ di sollievo dalle vicissitudini della vita.
Al tema della primavera, pertanto, abbino la rinascita e, perché no?, anche il coraggio.

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Hanno coraggio, ogni anno, i bulbi dei nostri giardini, ad esempio. Traggono forza dalla loro linfa più nascosta nel cuore dell’inverno e danno nuovamente inizio a un cammino che porterà una nuova pianticella a spuntare, scoprire la luce, fiorire.
Non sanno esattamente cosa li aspetta in superficie, ma la forza della natura vale sopra tutto.
Talvolta tocca fare esattamente così anche a noi.
Me ne sto accorgendo in questo periodo di acqua alla gola e tanto annaspare: dopo essere andata giù, la spinta naturale mi avvia alla risalita. Quindi, in teoria, una luce in superficie dovrei vederla pure io.
I libri, come saprete, non mi abbandonano mai e anche in questi momenti mi sono venuti in soccorso.
Una delle mie recenti letture risponde pienamente ai significati puri e lati di primavera, rinascita e coraggio: si tratta di La misura eroica di Andrea Marcolongo (Mondadori).
Questo libro è uscito più o meno un anno fa e stava sui miei scaffali, ad aspettarmi.
Catturata dalla copertina, dal profumo delle sue pagine e dalle meravigliose parole della sua autrice, che seguo ogni giorno sui social, non mi ero ancora decisa a leggerlo veramente.
Ogni tanto lo toccavo, lo sfogliavo, leggevo qualche riga. Sentivo che quelle pagine
racchiudevano qualcosa di potente, di estremamente delicato eppure dirompente, che mi
avrebbe toccato nel profondo.
E così è stato. Al momento giusto.

C’è stato un giorno, un paio di settimane fa, in cui mi sembrava non ci fosse soluzione per niente. Mi sembrava di vivere in un mondo dai soli giorni bui, dove io ero sempre io, mai migliore e sempre peggiore.
Quella sera, dopo essere saltata da un libro all’altro riservando a ognuno giudizi impietosi che non si meritano sicuramente, ho preso questo libro dalla libreria e l’ho portato in camera da letto, dove sono crollata dopo una giornata delirante.
Spente tutte le luci di casa tranne l’abat-jour sul comodino, mi sono rannicchiata sotto le
coperte e ho accarezzato per un po’ la copertina liscia e rassicurante di questo libro: in foto, un portachiavi rosso, a forma di cuore, con una chiave agganciata. Avevo letto in un’intervista ad Andrea Marcolongo che quel portachiavi le era rimasto nell’anima: fotografato e parte di una mostra, a colpirla era stata la frase scritta sopra Abbiamo un cuore per chiunque arrivi.

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Se un cuore c’è davvero per chiunque, se lei (una donna praticamente mia coetanea) ha potuto trovare in Sarajevo e nella Bosnia Erzegovina una nuova casa, allora, forse, una speranza di nuova luce può esserci anche per me.

Ho cominciato la lettura. Praticamente subito ho afferrato i segnalini adesivi – stavolta verdi –, mettendoli ovunque. Erano tanti i passaggi che volevo marcare. Talmente tanti e talmente belli che in breve ho impugnato pure la matita e di lì è stato tutto un sottolineare, fino alla fine.
Raramente sottolineo i libri che leggo. Appongo adesivi, scrivo su post it e biglietti che lascio tra le pagine; mi annoto tratti salienti e citazioni in vari quaderni, ognuno per un uso diverso che posso fare della lettura nella mia vita. Ma quasi mai sottolineo.
Stavolta, invece, non ne ho potuto fare a meno. È stato un riflesso incondizionato.
In questo libro Andrea Marcolongo conduce il lettore attraverso tre piani narrativi.
Affronta il tema del viaggio, in particolare il viaggio per mare, aprendo ogni capitolo con le frasi tratte da un libercolo di cui si è innamorata How to Abandon Ship, un piccolo manuale di sopravvivenza in mare del 1942, che aveva trovato da un rigattiere del Kent.
Parallelamente, non abbandona il suo amore per il greco e il mondo classico, raccontandoci il viaggio per mare degli Argonauti, ovvero narrandoci le vicende di Giasone e dei suoi compagni sulla nave Argo, alla ricerca del mitico vello d’oro, così come descritto nel poema epico Le Argonautiche di Apollonio Rodio.
Infine, ma chiaramente non ultimo per importanza, ci parla della sua vita e di come il viaggio, il mare e la definizione che i Greci davano di eroe siano stati per lei una chiave di volta.
Eroe, per i Greci, era chi sapeva ascoltarsi, scegliere se stesso nel mondo e accettare la prova chiesta a ogni essere umano: quella di non tradirsi mai. (p. 7)
Eroe non è chi compie gesta valorose portando a casa sempre la vittoria: eroe è chi vive, chi agisce secondo il proprio essere e non importano tutti i fallimenti in cui incapperà.
Tutti sbagliamo e tutti ricominciamo dagli errori: non per questo siamo meno eroi di chiunque altro. Vincere e compiere gesta prodigiose non classifica le persone come eroi.
Leggendo questo libro ho capito di essere anche io, nel mio piccolo, un eroe.
Perché vivo ogni giorno. Perché spesso subisco impotente, ma ho ben salde dentro di me le radici di ciò che è importante.
Le stesse che, come per i bulbi di primavera, danno la spinta vitale allo scorgere la luce tiepida di un nuovo 21 marzo.

La storia di ciascuna

 

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Non me ne sono accorta
mentre accadeva, ero distratta:
i nostri corpi si sono staccati 
hanno preso strade distinte
e adesso è un nuovo incontro,
una stretta di mano: si studiano,
i nostri corpi divisi, prendono
le misure. Non si conoscono più
e devono apprendersi da capo,
ritrovare il guado, l’intersezione,
l’appiglio giusto. Combaciare
è divenuto una ricerca tra sporgenze
dove un tempo, tra concavi e convessi,
l’istinto era fondersi, senza barriere.

Cercami, tra le lenzuola
vieni a prendermi sotto il piumone.
Non arrenderti all’abitudine, al freddo,
non lasciarci catturare. 

You are beautiful

Siamo a dieta.
Tutte e due. Sia io che Sara.
E di cos’altro potremmo parlare, questo mese? Quindi eccoci qui. Se volete una chiave di lettura diversa sul tema, un po’ letteraria, siete nel posto giusto.

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Ritenzione lirica
Della mia dieta, non ve ne parlo neanche.
Non è un regime alimentare da fame, son sincera. Certo, devi fare attenzione a molte cose. Ai condimenti, alle grammature. È un po’ vincolante se devi invitare qualcuno a cena o se mangi spesso fuori. Però è questione di abitudine e io, piano piano, ci sto prendendo la mano.
Con voi voglio parlare del significato di questa dieta per me. E lo voglio fare con una poesia.

A DIETA
Non ci so stare:
le Irene che sono non le so abbandonare.
In questo grande corpo c’è posto per tutte:
per le donne che non sono stata – ma avrei tanto voluto;
per quelle che la vita ha spazzato via d’un soffio;
per le mie reincarnazioni; per gli anni passati,
per la figlia che non sono più.
Col tempo, tuttavia, non mi ritrovo:
non so dove comincio
tra le vecchie pelli ammassate
in mezzo a cosce un po’ cascate
alla pancia e alle guance che mi sono spuntate.
Nel morbido tepore di cose già vissute
non ho più il posto per il presente,
non so più correre:
indosso troppi vestiti.
Voglio venirmi a cercare:
imparerò ad ascoltare,
a nutrire, invece che a mangiare,
a curare un corpo che voglio occupare
io sola, tutta quanta,
adesso.

Riuscirò a lasciarmi andare,
mi saprò demolire e poi rifare,
a costruirmi – nuova,
libera dalle mie macerie.

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Blufiordaliso
Che tema difficile questo mese!
Complicato, spinoso, quasi tabù per me.
Quando Irene mi ha detto Sono a dieta, sul serio. Ne parliamo il prossimo mese? io le ho subito risposto di sì.
Aggiungendo Anche io sono a dieta.
È la verità, anche io sono a dieta. Da anni.
Sì, perché il mio fisico non è mai stato longilineo, per così dire. L’aggettivo magra non è mai stato associato alla mia persona, così come esile, secca secca o minuta.
Io sono sempre stata quella un po’ rotonda, robusta oppure direttamente grassa. A scuola ero la cicciona secchiona. Dopo, acquisendo la maturità dei vent’anni, dei venticinque e adesso anche dei trenta, sono quella lì … e segue il gesto con i gomiti allargati, che sta a significare tutto tranne una taglia 42.
L’argomento dieta, dunque, è stato molte volte all’ordine del giorno.
Nascosto, inascoltato, non affrontato per qualche tempo, magari. Ma sempre presente.
I tentativi sono stati molteplici, così come i fallimenti. Ne sono, attualmente, la dimostrazione vivente.

Funzionò una volta soltanto, tre anni fa, quando persi parecchi chili, che poi riacquisii nello stesso tempo che avevo impiegai a perderli.
Il mio corpo ne risente, ovviamente. Ne ha risentito prima, durante e dopo l’unica dieta che diede risultati.
È evidente che, nel mio caso, si tratti di un problema articolato, legato a molti altri aspetti.
A maturare questa consapevolezza ho impiegato anni e non se sono ancora del tutto venuta a capo.
Mangio è innegabile, i chili arrivano da lì. Sono golosa, è dimostrato.
Ma c’è dell’altro che si lega a quello che molte riviste spesso paventano come metabolismo lento.
Ci sono delle motivazioni strettamente mediche, che si affrontano pian piano con una équipe specializzata. Le cause del sovrappeso e dell’obesità risiedono solo in parte nel corpo e si devono cercare anche dentro di sé.
La cosiddetta fame nervosa, ad esempio, si manifesta davanti ai nostri occhi come un’abbuffata o l’accanirsi su un determinato cibo che pensiamo ci faccia stare meglio; in realtà la causa risiede dentro di noi, la spinta a mangiare è psicologica.
Cercare di risolvere le questioni che ci divorano dentro, paradossalmente, ci farà divorare meno cibo, anche se il percorso è lungo, non sempre consapevole, duro, talvolta estenuante.
Rimane, poi, l’argomento corpo da affrontare. Stare meglio dentro è un grandissimo passo, il più importante e carico di benefici. Ma il corpo rimane ed è la parte di noi immediatamente visibile agli altri.

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Recentemente ho letto un articolo di Gaia Manzini uscito su L’Espresso.

Il titolo del pezzo era Cicatrici che rendono felici.

L’autrice comincia dicendo: IL CORPO È INEVITABILE. Il corpo siamo noi.

Io, che solitamente rifuggo nei giornali tutto ciò che viene scritto sulla fisicità, sono stata catturata da queste parole e ho letto tutto con grande avidità.

Il corpo danneggiato e riparato è al centro delle sue riflessioni, legate a nuove uscite editoriali sugli scaffali delle librerie italiane proprio in questi giorni. E non si tratta di manualistica o di ridicole pubblicazioni di self help. Gaia Manzini ci parla di romanzi, di storie scritte e che possiamo leggere, racchiuse da copertine nella maggior parte dei casi anche molto belle.

Storie in cui il corpo sta male, subisce battute d’arresto e viene rattoppato grazie alla medicina.

Poi il recupero spetta tutto al protagonista. Perché il recupero è mentale, psicologico, trova le forze nel più profondo di noi. Come accade a Elena, la protagonista di La memoria della cenere di Chiara Marchelli (NN Editore), ad esempio.

Questo libro mi chiamava, ancor prima di uscire. L’ho letto d’un soffio e adesso ho tanti piccoli, nuovi tasselli che rinforzano contenuto e contenitore.

Già, perché il lavoro è duplice, come vi ho detto prima.

Facciamo di tutto per guarire il male che ha causato una rottura del contenitore poi, durante la convalescenza, guariamo anche le ferite del nostro essere più interiore, mentre ci riappropriamo pure del corpo.

Il corpo non può essere abbandonato, né lasciato a se stesso per troppo tempo. Non può essere accantonato né maltrattato a lungo.

Il corpo è ciò da cui si comincia e ciò con cui si finisce.

Mangiare troppo o troppo poco non è nient’altro che plasmare il nostro corpo nel vano tentativo di plasmare ciò che abbiamo dentro.

La realtà è che dovremmo sforzarci di restare in equilibrio quanto più possibile, senza dimenticarci che il benessere del corpo è irrimediabilmente legato a quello del nostro io e viceversa.

Quando l’equilibrio non c’è, qualcosa inevitabilmente ne risente. Sta a noi capire cosa e trovarne uno nuovo.

È un lavoro immane, durante il quale dobbiamo prima scendere negli abissi per poi risalire verso una pallida luce. Dopo rimarranno su di noi delle cicatrici, dentro e fuori. Dei segni che ci ricorderanno in ogni momento quello che è stato, ma anche quello che abbiamo fatto per cambiare.

Il corpo non sarà mai uguale per più di due giorni: il nostro contenitore viene plasmato dalla vita, dagli agenti esterni, da noi stessi. E il contenuto lo seguirà a ruota, imprescindibilmente.

La dieta è il mezzo per rimettere in sesto il corpo, ma va fatta con criterio, deve essere un percorso serio, durante il quale si è aiutati e supportati (da una figura medica, dalla famiglia, dagli affetti).

La dieta è anche un percorso psicologico, perché inevitabilmente impatta sul nostro contenuto.

Per questo occorre essere forti nella propria determinazione, del tutto individuale, ma mai soli nel praticarla.

Perché il nostro corpo ci dà dei segnali in ogni momento. E coglierli correttamente è la chiave per un equilibrio ottimale.

Quando affrontiamo percorsi impegnativi come questi, quindi, non dimentichiamoci mai del nostro coraggio e della fatica che facciamo.

E soprattutto non dimentichiamoci della bellezza, la nostra per una volta.

You are beautiful!