Camera con vista

Camera con vista

Vieni a dividere uno sguardo,
a sgranare l’immagine
calibrando l’obiettivo,
pizzica ogni riserva e
suona il mio canto segreto.

Aprimi il cielo con un morso
come una mela tagliata a metà
assembla il mio sudore nel tempo
fammi regina del respiro
musa del tuo odore di muschio.

La mia anima è nel corpo
pallido morbido umido corpo
nessuna parola
o dono saprà cavarla fuori
soltanto un altro
corpo di sensi e vene di sole.

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Sindrome premestruale

Sindrome premestruale

Nel macinino da caffè
rosso dorato di Bahia
nove chicchi di collera 
fresca: sbriciolo il mare

onde di brezza con i tuoi ritardi
nebulizzate attraverso la sala,
svapora il freno della mia lingua

non butti l’incarto dei tuoi filtrini
mai mai, manco per sbaglio,
lo lasci sempre vuoto sul tavolo
ancora di nuovo
ma porca puttana;

col macinino da caffè
rosso dorato di Bahia
frantumo la rabbia fine
fine.

 

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Incubi

INcubi

Alle due e ventiquattro di una notte qualsiasi
dopo l’amore, la birra e le risa di stelle
mi ha svegliata un temporale.

Ma il cielo è asciutto oltre il confine del mio sterno
non c’è altro tuono che il tamburo del tuo russare
nulla turba la notte degli altri

– erano lampi di consapevolezza
dall’incubatrice del mio cranio.

Vorrei potessi entrare a riaggiustare i pezzi
tecnico del proiettore dietro le palpebre:
riscriveresti la pellicola dei miei incubi
documentario di ricordi distopici
premonizioni male assortite
lacrime abortite che reclamano vita.

Sul tuo petto spengo la pioggia
con la musica del tuo cuore
ninnananna di tamburi.

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Senza sforzo alcuno

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I fiori sbocciano senza chiedersi come si faccia:
tu, che hai cuore umano, vali forse meno di una margherita?

Le rondini si affidano al vento
senza conoscere nulla delle leggi fisiche che regolano il volo:
perché dovresti conoscere le regole del gioco, per poter giocare?

L’anima della candela brucia,
si nutre della cera democraticamente,
la consuma godendola tutta quanta fino a spegnersi nel suo stesso fuoco.
Credi forse che la ricchezza della vita possa darti meno nutrimento?

Prova a sradicarlo, è come la menta:
ricrescerà senza che tu debba curartene affatto,
tornerà a infestare il tuo cuore con il suo profumo.
L’amore non è fatica, l’amore non è un merito, l’amore è un dono.

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Non esattamente

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Puoi entrare; entra.
Versa il caffè nella mia coppa, non è il mio vino di spezie ma è caldo.
Non c’è nessuno, qui.
Son rimasta vuota: mi troverai calma ad accoglierti
dietro la porta
come se fossi atteso.

Sei spontaneo.
Per oggi mi basta
questa intimità, più importante adesso che si è rotto il cielo.

Non ci sono enigmi da risolvere,
in questi occhi nessuna metafora da decifrare,
fammi del bene e ti darò quel che posso.

Domani richiamerai per sapere cosa senti,
sarai forte abbastanza
da reggere il suono dei tuoi sentimenti
raccontati
nei confini esatti della mia voce e del tempo.
Non mi costringerai a mentire.

E poi sarò tua madre, che ci piaccia o no,
carezza benevola i miei occhi
mentre ti spiegherò a che altezza voltare a destra,
quando prendere le distanze da questo incrocio.

Mi hai conosciuta diamantina, impazzita, luccicante,
come Syd Barrett: il tempo m’ha fatta perla

tonda, liscia, fresca, giusta.
In pace con la strada; avanti, camminare.
Potrebbe significare qualcosa. Oppure no.

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La sera prima

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Sei sempre stato rosso
mentre ti amavo di rabbia
dentro ai miei silenzi al finestrino,
sui davanzali delle vie del centro

rosso di sete di giustizia
e anche inquieto, storto
incapace di trovar pace nella scatola dei ricordi

velo di veleno
rosso

sulle tettoie di lamiera dei miei sospiri stesi
asciutti inondati di pieghe;
non ti so stirare.

Astenersi dalla costa raggiante fu una cautela indispensabile
transenne di tempo, distanza e saggezza
furono il tuo complemento
ed il solo arredo del mio esofago.

Ho paura del blu
del turchino frinire del sole salato,
d’aver tutto sbagliato
di scoprir che sei tu.

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Leggi tra le righe

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In un angolo sotto il tappeto
dentro il salotto della nostra casa a Brooklyn

ci sono mucchietti di polvere dorata.

Ho sfilato le pantofole per donarmi scalza
a questo pavimento fresco
stupore
al mio tocco esitante.

E adesso il prezzo della comunione, prego
nei resti delle mie vecchie pelli dimenticate
sfilate via come fossi un boa
– squame o piume delle donne che fui
nelle quali non sei potuto entrare.

Salirò sul davanzale grande
un giorno di questi
verso le sei;
e soltanto guardare il giardino
mi metterà in pace con le memorie scoperte.

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Ovulare

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Finestre sui miei errori
territori in cui vago, le gambe maestre
e gli occhi flutti tra maree di
Forse, Se invece, Magari, Chissà

mentre spiove un altro temporale
sale il crepitare del mio ventre,
sottile, impercettibile onda fino allo sterno,
schiuma di rimpianti con il tuo odore.

Oppure potrebbe essere un’altra ovulazione.
Se invece. Chissà.

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