A chi appartieni?

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Non a mio padre, ciglia lunghe,
rete di speranze,
tali e quali le mie;

neppure alla mia città
casualmente barocca,
marmo austero, porfido
sul cammino della mia sorte.

Non appartengo al mio passato,
all’ordine con cui metto i suoni nella bocca,
a questa vita capitata per caso
o alla casa lilla dove riposo la sera.

A nessun partito politico
o corrente di pensiero,
neanche al tuo sguardo,
né al nome sui documenti
accidente del caso, seppur mio.

Io appartengo alla terra
al mare delle sette di sera
e al profumo del pane;
sono proprietà di queste braccia
lunghe e mobili attorno al viso
nei miei racconti appassionati,
sono figlia di questo corpo
che pure a caso mi contiene.

La mia patria è il blues
sulla pelle nuda,
tra il confine dei lampioni
e dei dipinti sui muri;

e sono iscritta al club
delle sigarette all’alba,
socio fondatore del movimento
per la liberazione dal reggiseno.

Appartengo alla poesia,
analisi a buon mercato,
divisa in versi sulle bocche del mondo
come lumi in processione tra la folla.

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La mia ricetta

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Dubbio in abbondanza
e diffidenza
verso ogni schema troppo rigido;
sette etti di polemica,
un gusto di ricerca
per la falla nella diga
per la parte mancante nella spiegazione
– forse eccessivo, zenzero
in mano a un cuoco occidentale;
una manciata di domande
ricorrenti
talvolta premature
incapaci d’attendere la spiegazione,
che si dispieghi completa,
che lo spettacolo giunga a conclusione:
Perché? o Che accadrebbe però se?
urgenti
anticipo di catastrofi e di bug del sistema,
domande impertinenti dal gusto piccante.

E poi speranza, senza parsimonia
nella possibilità
di raggiungere una coscienza
di rianimare un cuore
un’incrollabile fiducia nella vittoria finale
olio extravergine d’oliva a tenere in piedi la battaglia
ben amalgamata
in ogni sua fase.

Un pizzico di lussuria
ma contenuta
negli sguardi
scoccati come dardi nelle sere estive
sotto ai portici di piazza Vittorio
dietro ventagli di svagatezza
sangue bollente rimescolato
dalla sete della bellezza
noncurante e potente.

E di pazienza, poca, purtroppo:
un cucchiaino appena
in mezzo litro d’ira purissima.

Così mi ha assemblata il caso
o il tempo della vita.
Ma quando cucino io non seguo le ricette
e non saprei rifarmi uguale uguale.

 

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Illuminare responsabilmente

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Avremo tempi di un altro colore,
spaziosi giorni di pensieri, silenzi
nei quali prendere il tempo per riflettere;

avremo tempi di ragione ed ascolto
ricerca della soluzione più giusta;
mediazione prima che azione
il braccio e la voce saranno strumento e non fine
parte di una strategia programmata per la sopravvivenza del cosmo.

Verrete tutti, in quei tempi:
avremo posto anche per gli ignavi
e per chi era in vacanza
per chi voleva cambiare purché si cambi
e per chi si appuntava medaglie di congiuntivi al petto.

Ci sarà spazio per tutti:
per i muti e per i sordi,
per chi si guardava l’ombelico,
per gli alfieri dell’individualismo,
per i fanti della condivisione virtuale,
per chi spezzava il pane e per chi disprezzava le polemiche su Facebook.
Per chi faceva e per chi è fuggito,
saranno i tempi di ciascuno.

È il tempo, sorella,
che abbiamo afferrato per il collo:
per noi quel tempo
scorre già sotto ai piedi, a cavallo
della speranza e della fatica
gireremo le lancette fino all’ora giusta.

Non ho paura del buio, sorella:
facciamo luce.

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Non riesco a dormire

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Seduto sugli angoli della mia bocca
starai comodo tra le mie risa
e le mie smorfie contenute nelle righe:
sarai vento, pasta, dentifricio,
dimenticherò il tuo nome
e dei miei capelli non avrai memoria

danzerai sulle mie labbra di baci
per altri, fremito senza ragioni
esitazione – all’improvviso, ma
senza più il diritto a un nome proprio.

Sarai il blu sulle pareti, i Baci Perugina,
la carta stagnola, i numeri pari sul display;
ma un giorno anche film che non avrai visto
e amari che non avrai bevuto.

Però sarai. Sempre.
Ed io sempre avrò posto nei tuoi fallimenti,
costola dello sguardo con cui ami un’altra.

Non so odiarti per questo.

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Camera con vista

Camera con vista

Vieni a dividere uno sguardo,
a sgranare l’immagine
calibrando l’obiettivo,
pizzica ogni riserva e
suona il mio canto segreto.

Aprimi il cielo con un morso
come una mela tagliata a metà
assembla il mio sudore nel tempo
fammi regina del respiro
musa del tuo odore di muschio.

La mia anima è nel corpo
pallido morbido umido corpo
nessuna parola
o dono saprà cavarla fuori
soltanto un altro
corpo di sensi e vene di sole.

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Sindrome premestruale

Sindrome premestruale

Nel macinino da caffè
rosso dorato di Bahia
nove chicchi di collera 
fresca: sbriciolo il mare

onde di brezza con i tuoi ritardi
nebulizzate attraverso la sala,
svapora il freno della mia lingua

non butti l’incarto dei tuoi filtrini
mai mai, manco per sbaglio,
lo lasci sempre vuoto sul tavolo
ancora di nuovo
ma porca puttana;

col macinino da caffè
rosso dorato di Bahia
frantumo la rabbia fine
fine.

 

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