Potrai dimenticarmi

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Leggerai di me
nel soffio di gatto randagio
capace di addomesticarsi
e volutamente riottoso
al giogo degli stand up meeting
in casa del padrone del tempo.

Scritta su un libro
può darsi tu possa trovarmi
un giorno – non saprà vendersi
la mia parola di occhiate oblique,
priva di tormentati gemiti
insensibile alla posa drammatica,
parola di gricia e di risa sguaiate
ostile ai languori,
dai languorini appagati.

Sarà parola per incartar tulipani,
per riempire buchi nel muro,
pagina perfetta per quel tavolo traballante
nell’ufficio dei cantastorie per caso.

Leggerai di me
ridendo tra i baffi
sui miei versi macchiati di cenere
dal caldarrostaio: eppure

il male che t’han fatto i miei chiodi, pixel dopo pixel, non l’avrai scordato ancora; nessuna strada verso la spazzatura risparmierà una visita al tuo stomaco stretto di ignaro passante,

colmo d’ignavia al colmo della felicità.
La parola è eterna, come il tormento del mio perdono.

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L’importanza dei preliminari

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Da dove comincia l’amore?
Prima del tuo ingresso nelle mie profondità più sacre
e prima ancora delle distese di lenzuola su cui adagio
il peso dei miei gemiti,
mentre cola il balsamo delle tue pupille nere.

L’amore inizia nella caverna delle idee,
sangue rappreso su roccia
dopo una caccia di attese, sguardi;
forse neppure. Non incomincia
tra citazioni e confidenze
nella pozza di segrete ironie.

Prima ancora del tuo occhio, maglia attillata
e del mio riso generoso ad un uomo che conosco appena
veletta di trascuratezza calcolata al secondo
per esser certa tu mi bevessi alla goccia:

a far l’amore cominciasti tu primo
sussurrando il mio nome a labbra dischiuse
nel grembo di tua madre
prima di conoscerlo.
Mi misi a far l’amore col tuo profumo
vestito di pane e pioggia
senza nuvole in un autunno pieno.

Cominci da lì: chiave della mia porta spalancata
entro cui entri
soltanto
disarmato, spoglio
esposto al silenzio caldo della creazione.

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Cosa ne pensi di quel libro

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La strategia di chi non calza ai piedi
le mie stesse scarpe, di chi non combatte
la mia stessa battaglia, la sua falange

apparecchiata leziosa per il tè
– scelta a caso o con studio
per vincere la guerra di quel giorno,
per raccontarsi un’epica in divenire,
per rigirare la lama delle viscere
verso l’esterno, all’attacco,

o, più semplicemente, disposta
per tirare a campare, ancora
quel poco – non è affar mio.

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E’ solo un trucco?

Rieccoci di nuovo insieme a Sara di Blufiordaliso: anche questo mese vogliamo provare insieme ad esplorare un tema che ci offra spunti di riflessione o ispirazione.
Stavolta abbiamo pensato al trucco.

Un argomento su cui spesso troverete spunti, su Ritenzione lirica; quanto a Blufiodaliso, un blog dedicato alle sfumature delle storie non può che trovarsi a suo agio tra pennelli e colori. Partiamo, dai!

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RITENZIONE LIRICA

Sono sempre stata profondamente affascinata dal trucco, dal suo potere di plasmare la realtà.

Ho iniziato a truccarmi molto presto: avevo circa 13 anni.

Le prime incursioni nella trousse di mia madre servivano soprattutto a farmi sentire donna. Prendevo il viso di una bambina, le sopracciglia ancora indisciplinate, le guance paffute, liscissime. E con un po’ di mascara e un sacco di ombretti provavo a trasformarlo in un viso di donna.

A volte alzavo gli zigomi, cercando di sfinare un faccino tondo. Altre volte creavo improbabili sfumature sulle palpebre, che, come tele, si prestavano a trasformarmi nella regina delle nevi, in una cantante hip hop, in una specie di dea del fuoco.

Era un gioco.

Crescendo ho imparato a truccarmi per interpretare un personaggio. Davanti allo specchio scelgo ogni mattina quale parte di me stessa far emergere, che donna voglio essere. Più calda, più fredda, più matura, più fresca. Più naturale. Più sofisticata. Pin up. Hippie.

È un esercizio di interpretazione.

Truccarmi è indossare un’armatura. Spesso non ho voglia di lasciare a chiunque la possibilità di vedere l’espressione facciale dei miei pensieri. Non tutti possono guardarmi nuda nelle mie debolezze, nelle mie piccole felicità segrete, nelle mie paure.

Il trucco è un filtro, un modo per controllare l’aspetto esteriore del mio sentire, per provare a decidere io che forma avrà oggi il mio sguardo, il mio viso, il mio silenzio, il mio modo di attendere l’autobus.

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Dopo ben sedici anni di make up ho provato a stilare un piccolo prontuario di istruzioni per un trucco consapevole, che se vi truccate vi farà sorridere, se non vi truccate magari vi farà capire un pochino di più cosa sia per noi quel filo di matita.

PER UN TRUCCO CONSAPEVOLE

Uno: scegli bene il mascara. È lo scudo dello sguardo. Col mascara giusto sarai in grado di filtrare il mondo, di decidere tu che cosa vuoi vedere nelle strade, nelle parole, nei gesti. Tutto ciò che vedi passa attraverso il ventaglio delle tue ciglia: sei tu ad avere il controllo di quel che fai entrare.

Due: il trucco si sbava. Mentre fai l’amore, quando piangi. Durante una corsa e per le risate. Anche solo per l’aria fredda del mattino: quel breve tragitto dalla metro al lavoro è abbastanza per far colare tutta la matita sulla rima interna, dandoti quell’aspetto a metà tra la punkettona e la tossicodipendente. Dei rossetti non ne parliamo: hai presente come ti ritrovi le labbra, dopo un caffè e una brioche?

Un bel chissenefrega. Se alla sera hai ancora il trucco intatto, forse significa che non hai vissuto abbastanza, per oggi. Lasciati stropicciare dalla vita, lasciati sbavare il mascara, lascia che il gloss strabordi fuori dagli angoli delle tue labbra. Lascia che il mondo veda che ti piace vivere, portati sul viso tutta la tua giornata.

E alla fine, se serve, riconduci al suo posto tutto il tuo sentire, col semplice, banale gesto di ritoccarti il trucco.

Tre: più mascara. Nella vita, alla fin fine, è tutta una questione di interpretazione; scoprirai che il mascara giusto plasma il tuo sguardo nella direzione che vuoi tu, permettendoti di vestire i panni della donna che vuoi essere oggi. Scegli tu a quale versione di te vuoi dare spazio, e disegnale lo sguardo come meglio credi. Segnala con la matita se ti occorre quel piglio deciso che oggi proprio non vedi allo specchio; un filo di eyeliner se vuoi liberare la seduttrice; se hai lo sguardo dritto e vibrante, tienilo libero, non aggiungere niente. Un buon mascara basta a sé stesso.

Quattro: gli ombretti vanno sfumati bene. Mentre scegli i colori, non pensare solo a come sei vestita. Lasciati emergere fuori quello che hai dentro.

Troverai tante sfumature diverse. Lo scazzo perché è lunedì, quel fantastico jeans ormai stretto che hai deciso di pensionare. Il grigio fuori dalla finestra. Ma anche la frenesia di incastrare tutti gli impegni di oggi. Quando lui ti ha afferrato la schiena come piace a te, baciandoti prima di uscire.

Lascia che i colori del tuo umore si fondano fra loro.

Quelli brillanti, nell’angolo dell’occhio. I toni scuri appoggiali sulla piega della palpebra: ci vuole un tocco di oscurità, per rendere magnetico uno sguardo. Le tonalità che più ti caratterizzano vanno messe lungo tutta la palpebra mobile: se te la senti, tira fuori un punto luce al centro, un tocco di ombretto dorato o argentato. Non deve essere per forza di oggi: può essere un ricordo felice, un bacio che ti è rimasto nei sospiri.

Completa con un tocco di eyeliner: ma solo se sei confusa e temi che il tuo sguardo possa perdersi tra tutti colori del tuo cuore. Altrimenti sei perfetta così, con le tue contraddizioni che sfumano una nell’altra.

Infine: per chiedere un aumento, vai completamente struccata. Mostrati nuda, fiera delle tue debolezze. Disarma il tuo interlocutore con le tue occhiaie accennate, con le tue labbra senza sangue. Sii fiera dei tuoi lineamenti, delle tue rughe e dei tuoi sfoghi cutanei.
La sicurezza con cui porti il tuo viso libero in giro per strada verrà a galla prepotente e ti farà brillare di una bellezza tua, inimitabile.
Ma se è qualcosa di davvero importante, non esitare: per prima cosa metti su un bel rossetto.

BLU FIORDALISO

Truccarsi è un verbo riflessivo che lascia, ancora oggi, molto spazio ai tabù, ai preconcetti, ai giudizi. Si truccano le attrici prima di salire sul palco: il cerone nasconde ogni imperfezione; il trucco modifica addirittura alcuni tratti del viso, del corpo.

Rende le persone perfette. Fisicamente perfette per interpretare la parte a loro assegnata.

Il trucco crea una maschera, ma non pensiamo alla cipria Luigi XIV e ai nei di Madame de Pompadour. Il trucco c’è ma non si vede: il make up di oggi nasconde senza farsi vedere ed è tutto un invisible. E proprio perché non si vede compie i miracoli, rendendoci il più perfetti possibile.

Ma questo è il trucco dei pochi, riservato alle persone dello spettacolo, alle passerelle, alle fashion blogger e realizzato da chi trucca di professione, i make up artist, che noi, donne comuni, invidiamo da morire cercando di abbozzare con il nostro make up home made 2.0, evolutosi grazie ai tutorial di Clio.

Qual è il vero ruolo del trucco nella vita di tutti i giorni? È indispensabile o soltanto necessario?

Lo consideriamo ancora un vanto per poche? Oppure il simbolo della frivolezza?

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Le donne che la mattina escono di casa senza nemmeno un velo di bb cream sono poche, soprattutto nella fascia 14-55 anni.

Queste magiche pomate hanno rivoluzionato la nostra cosmesi di donne normali, diciamocelo.

Scalzate basi, polveri e spugnette grondanti fard, ora bastano un paio di minuti per uniformare la pelle del viso e nascondere le imperfezioni.

Santità subito, dunque, per gli inventori della bb cream, formulata per la prima volta in Germania negli anni ‘60.

Sistemato il viso, rimane soltanto il 90% del corpo a cui pensare.

E allora largo a smalti, creme idratanti e impacchi per capelli. Anche in questi casi con straordinarie rivoluzioni più o meno alla portata di tutte.

Basta volerlo.

Già, perché talvolta non si ha per niente voglia di truccarsi o di passare un’ora e mezza in compagnia dell’estetista per il semipermanente.

Rivendichiamo il nostro diritto di essere e apparire al naturale, ogni tanto.

Siamo un corpo in evoluzione, così come (si spera) sono perennemente in evoluzione i pensieri.

Il nostro viso può essere segnato dalle occhiaie, quando dormiamo poco. La pelle delle nostre mani può essere secca, in un giorno ventoso. Le nostre unghie possono essere rosicchiate, se ci capita un momento di particolare nervosismo.

Non per questo siamo meno donne.

Lo dice anche Chimamanda Ngozi Adichie nel suo Cara Ijeawele – Ovvero quindici consigli per crescere una bambina femminista (Einaudi).

Chimamanda è un’autrice nigeriana, originaria di Abba, nello stato federale di Imo.

Ha 41 anni e di mestiere scrive. Cose intelligenti.

I suoi romanzi L’ibisco viola e Metà di un sole giallo, entrambi editi in Italia da Einaudi, hanno vinto premi importanti. Da un brano del suo discorso Dovremmo essere tutti femministi, tenuto durante una conferenza TEDx nel 2013 (che potete vedere e ascoltare, anche sottotitolata, qui), Beyoncé ha campionato Flowless.

Cara Ijeawele è la lettera scritta a un’amica appena diventata mamma di una bambina.

Chimamanda è una femminista e non se ne vergogna. Il suo femminismo è concreto, vicino a tutte le donne, privo di cliché. Proprio per questo mi piace molto.

Ho studiato i movimenti femministi, dagli albori a oggi, e continuo a farlo. È fondamentale conoscere i processi storici e le loro evoluzioni nel tempo e nei luoghi. Sono argomenti di grande attualità anche le questioni che si dibattevano nell’Ottocento.

Oggi, però, spesso si cade nell’isterismo, nell’autocommiserazione, nel dare implicita importanza ai ruoli di genere, anche se a parole li si rifiuta.

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L’ottavo consiglio che Chimamanda scrive alla sua amica è “Insegnale a bandire l’ansia di compiacere. Il suo obiettivo non è rendersi piacevole agli altri, il suo obiettivo è essere pienamente se stessa, una persona onesta e consapevole della pari umanità degli altri”.

E possiamo essere pienamente noi stesse con o senza trucco.

Il make up ci può aiutare, sostenere, valorizzare. Ma non ci deve mai nascondere, come una maschera calata per celare noi stesse agli occhi degli altri.

Nel decimo consiglio Chimamanda scrive “Se le piace truccarsi, lasciaglielo fare. Se le piace la moda, lascia che si metta in tiro. Ma se non le piacciono quelle cose, accettalo. Non pensare che educarla al femminismo significhi indurla a rifiutare la femminilità. Femminismo e femminilità non si escludono a vicenda. È da misogini pensare che sia così”.

Cerchiamo di piacerci per quello che siamo; troviamo il giusto equilibrio per noi stesse.

È difficile, lo sappiamo. Ma possibile.

Anche gli uomini che ci circondano capiranno, così, che siamo sicure di noi stesse.

E che sappiamo di valere.

 

 

 

Nelle giornate di sole, nei sorrisi migliori, nei successi, nelle gioie

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La nostra condanna non ha scadenze
ergastolo di rosa e gelsomino.

Per tutta la vita avremo
lacrime da intrecciare ai sorrisi,
Penelopi tesseremo d’incanto
la meraviglia e la nostalgia
fili di trama impalpabile
tra la città e l’aria tersa del cielo.

La nostra condanna è luce nelle tue scarpe larghe
brilla danzatrice ai miei piedi
nel sole di ciascun sorriso

– quei nostri sorrisi vividi, arrotati
da una poesia di abbinamenti inconsueti,
limpidi al punto che quasi danno noia:
un po’ li ho messi nel congelatore
in attesa del nostro incontro –

lenta a scontarsi come tutta una vita
la nostra condanna va pagata intera,
e pazientemente
a testa alta; sfarfalla tra i calici,
suggerisce sotto ai salici
sugge il nettare dalle ore fiorite,
il midollo della vita.

La nostra condanna è la più dolce del mondo,
è la gioia di vivere:
senza poterne condividere
con te.

(La foto é di Michele Vico: passate a vedere le sue splendide foto su Flickr a questo link: https://www.flickr.com/photos/141938949@N02/)

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In una casa mia

43597891_2180387122213084_8854294519173087232_nSono tornata in sala prove.
Ad ascoltare. Lui canta davvero
e cose che amo; canta per me
ogni volta che canta morde
il fiato, respira blues, sputa stelle.

Chissà che fine hai fatto. Tu.
Avrai certo il colore dei miei forse
nascosto ancora sotto le unghie.

Hai scavato un solco nel mio respiro
la notte in cui è finita; di polvere
ho coltri e mantelle a graffiarmi
a corrodermi ancora oggi. Ma ho
perso il tuo numero: non la fiammella
che di caligine mi incise una mammella.

Ti ho lasciato molto lavoro?
Forse all’istante m’hai scordata.
Avrai saputo trovare la via di fughe
romantiche nei seni d’altre. Luce
sulle macerie m’avrai sbriciolata,
calce frantumata e poi masticata,
nella notte una ruspa m’ha scorticata.

Altri ti hanno poi visto tutto intero,
nudo e crudo, perfetto in potenza
come fosti forse solo nel fondo del mio ventre?

Tramonta ogni sera sulle mie macerie
il sole; sempre più lontana è la scia
della tua polvere. Alla fine ho traslocato.
M’hai lasciato schegge, scale, do minori
in mezzo al vento. Tutto ha un senso.
Perfino tu.

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(Ri)cominciare

Ritenzione lirica vuole essere, prima di tutto, uno spazio di condivisione.
L’idea di pubblicare poesie, infatti, nasce dalla consapevolezza della possibilità di uno scambio di emozioni con chi mi legge, come vi ho raccontato nelle Informazioni.

Tra gli incontri piacevoli che sono nati grazie a Ritenzione lirica, c’è quello con Sara Valinotti, autrice di Blufiordaliso.
Questo blog, con delicatezza e grazia, racconta storie, soprattutto di lettura: in solitaria, consigliando titoli interessanti, e in condivisione, riportando le esperienze di Sara all’interno di gruppi di lettura.

Abbiamo pensato di prenderci uno spazio condiviso, per trattare insieme temi di interesse comune. Ogni terzo giovedì del mese leggerete un post a quattro mani, come questo: Ritenzione lirica pubblicherà e consiglierà poesie, poeti e raccolte di versi; Blufiordaliso vi parlerà di libri e di scrittura, suggerendovi titoli e spunti di lettura.

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Non ci resta che partire. E il primo articolo di questa nuova avventura non poteva che essere dedicato ai (nuovi) inizi: cominciare e ricominciare.
Settembre, poi, è un nuovo capodanno per la maggior parte di noi.
Ritorniamo dalle vacanze con energie tutte diverse e tanti buoni propositi, che spesso si trasformano in idee concrete, in progetti che vedono la luce e che ci danno fiducia. A settembre si ricomincia sempre: lo impariamo da piccoli e questa sensazione ci segue per tutta la vita, anche quando la scuola è finita da un pezzo.

Blufiordaliso
Ricominciare con gli amori

Per quanto riguarda il mondo delle letture, beh, settembre è uno dei mesi clou: la rentrée littéraire di inizio autunno rappresenta uno dei momenti topici per l’editoria internazionale, quindi arrivano sugli scaffali delle librerie – e di conseguenza delle nostre case di avidi lettori! – molti nuovi titoli.
Blufiordaliso ve ne aveva già parlato a inizio mese, in un articolo che potete leggere qui, selezionando 12+1 titoli che possono tenerci compagnia per iniziare l’autunno e ricominciare un nuovo anno di letture.
Questi titoli sono stati scelti pensando anche alla lettura condivisa: a settembre, infatti, ricominciano gli appuntamenti dei gruppi di lettura, sempre di più (per fortuna!) e sparsi in tutta Italia. Leggere insieme, conversare su un libro letto da tutto il gruppo, è un momento speciale, che possiamo dedicare a noi e noi soltanto, sapendo di ricavarne ogni volta benefici per l’anima. Non tutti i libri sono adatti per la lettura condivisa: alcuni risultano particolarmente ostici; altri colpiscono così forte al cuore da richiedere un tempo di metabolizzazione molto lungo.
Questi 13 titoli appena pubblicati sono delle valide novità e degli ottimi spunti per la nuova stagione di un gruppo di lettura.

E tra di loro c’è lui, L’amore di Maurizio Maggiani, edito da Feltrinelli per la collana Narratori.
Cominciamo dalla copertina, una fotografia di Bruce Davidson: due amanti che si baciano, mentre camminano. Bianco e nero, l’attenzione tutta concentrata sui corpi.
Bruce Davidson inizia a fotografare ispirato da una frase di Cartier-Bresson:
“Credo che nel corso della nostra vita la scoperta del mondo che ci circonda avvenga di pari passo con la scoperta di noi stessi.”
Inizia così una carriera dedicata tanto ai ritratti intimisti quanto alla fotografia di tipo documentaristico, che però conserva sempre una vena profonda, accentuata dalla scelta del bianco e nero per ogni scatto.

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I due amanti della copertina sono lo sposo e la sposa, coloro che animano la storia di Maggiani.
Una storia che pesca qualche elemento (chissà quanti, in realtà) dalla vita dello scrittore, ma lo fa in modo lieve e imprescindibile: i lettori lo sentono, può essere soltanto così.
È lo sposo l’io del libro. Maurizio Maggiani lo fa parlare passando dalla terza alla prima persona senza che quasi ce ne accorgiamo, ma senza mai toccare il discorso diretto.
Sono riflessioni intime le sue, intrinseche come il bacio sulla copertina, scambiato camminando, un bacio tra due persone che non si fermano nel loro cammino insieme.
Lo sposo passa la sua giornata da solo, in una grande casa descritta attraverso dettagli che ci fanno innamorare degli spazi, dei colori, dell’autunno e delle superstizioni. Cucina per la sposa, pensa alla sposa, si aggira per le stanze e nel giardino e nelle campagne con l’unico scopo di rendere belli i momenti passati con lei. E, per raggiungere l’obiettivo, lo sposo ci narra la sua vita, parlandoci di quando era il figlio del popolo, il fabbro, lo zoppo. Lo fa raccontandoci i “fatterelli”, ripensando ai passati amori così come la sposa desidera ascoltarli, nel sonno inquieto di certe notti. Solo le donne del passato prendono un nome proprio, la Padoan, la Chiaretta, la Mari marina marosa. E Ida la bislunga, colei che ci accompagna fino alla fine del libro: è un momento del passato che ritorna per andarsene, con un messaggio nel presente.
Questo è un romanzo da leggere lentamente, da assaporare. Ogni pagina, ogni capitolo, fino al più lirico di tutti, l’ultimo, Mattina, è una dichiarazione d’amore.
Questo è un romanzo da condividere, perché racconta la vita di un uomo, di un sogno e dei dettagli. E tutto ciò appartiene inevitabilmente alla nostra natura.
Leggiamo un romanzo scritto come una poesia, come una ballata.
Dedichiamoci agli amori per ricominciare.

Ritenzione lirica
Ricominciare è vivere

In generale possiamo descrivere settembre come il periodo giusto per provare a cambiare qualcosa di noi stessi, ad uscire dalla nostra comfort zone. I nostri buoni propositi sono i più vari e, spesso, riguardano il nostro stile di vita: un nuovo corso di ballo, l’immancabile dieta, l’iscrizione in palestra.

Però c’è un problema, diciamocelo: si rischia di cadere.
Quando cominciamo qualcosa di nuovo, non abbiamo esperienza di ciò che ci aspetta e difficilmente i nostri risultati saranno subito eccellenti. E’ più probabile incappare in un fiasco.
Ci toccherà allora ricominciare un’altra volta, ripartendo da dove eravamo caduti. In un succedersi continui di nuovi inizi.
E’ con questo pensiero in testa che ho scritto RICOMINCIATI.

Ricomincia.
Avrai paura di sbagliare i modi, 
danzatrice scoordinata 
sulle note di un samba sconosciuto 

Il souffle’ ti si sgonfiera’ in forno
quel vestito resterà nell’armadio:
undici allenamenti di cardio
non basteranno a piallare una vita
di gelato sdraiata sul divano.

Tu ricomincia.
Se fossi pronta per essere oggi
la donna che sempre hai voluto creare 
il ballo del samba sarebbe finito
non avresti più nulla da imparare
e potresti accostarti stanca alla fine.

Tu invece ricomincia
parti sempre dal via e goditi il viaggio
casca ogni giorno per rialzarti nuova,
sbaglia la strada, scopri nuove vie, 
ama il tuo riflesso mentre piangi
e quando hai finito non domandare
se la lacrima è gioia o dolore,
ricomincia 

riparti da zero,
taglia ancora i capelli 
riprovaci ancora,
spariglia i tuoi sogni,
innamorati del tuo nemico, perdona
e ricomincia un nuovo respiro
una nuova digestione e un nuovo sonno.

Ricominciati sempre
e non finirai mai.

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